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Tre coltellate profonde, alle quali Christian Di Martino, 35 anni, è sopravvissuto grazie alla sua tempra robusta e alla forza di volontà: «Nei momenti più difficili mi sono detto: non posso morire, ce la devo fare». Ad aggredirlo, la sera dell’8 maggio alla stazione di Lambrate a Milano, Hassine Hamis, 37 anni, origini marocchine, irregolare in Italia, un cumulo di precedenti e tre provvedimenti di espulsione all’attivo. Ora condannato nel processo con rito abbreviato dal gup Silvia Perrucci a dodici anni e due mesi, con espulsione dai confini nazionali a pena espiata.
La pm Maura Ripamonti aveva chiesto 13 anni e quattro mesi per tentato omicidio, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni nei confronti di altri due poliziotti, porto abusivo del coltello, lesioni nei confronti di una passante colpita alla testa da un sasso, attentato alla sicurezza dei trasporti per il lancio di pietre contro i treni in corsa e false attestazioni sull’identità. «Non possiamo dirci soddisfatti. L’ispettore andrà in giro per tutta la vita con un rene solo e non essendo prevista una copertura assicurativa per il rischio professionale di fatto non prenderà un euro, perché l’aggressore è incapiente. Ma questo lo sapevamo anche prima», afferma l’avvocato Massimo Del Confetto, legale del poliziotto.
La fuga
Erano le dieci e mezza di sera di otto mesi fa quando Hamis ha creato il panico a Lambrate: lanciava pietre contro i convogli in movimento, colpendo alla testa una donna che passava poco distante. Interviene la Polfer, che chiede il supporto della polizia. Accorre la volante Zara, a bordo il trentacinquenne vice ispettore Di Martino, originario di Ischia, come capo equipaggio. Estrae il taser, contromisura insufficiente per bloccare Hamis: un dardo lo colpisce alla gamba, un altro finisce sulla manica del giubbotto e la scarica non parte. L’aggressore ignora gli avvertimenti degli agenti, fugge correndo verso i binari e Di Martino, per fermarlo prima che arrivi un treno e venga travolto, lo blocca fisicamente.
E a questo punto la reazione di Hamis è potenzialmente mortale: estrae dalla manica un coltello da cucina con una lama lunga venti centimetri e l’affonda tre volte nel corpo del vice ispettore. Portato in codice rosso al Niguarda, dove è rimasto per ventuno giorni, è sopravvissuto a un intervento chirurgico che ha comportato settanta trasfusioni, trenta di plasma e quaranta di sangue, quasi il doppio del fabbisogno quotidiano dell’ospedale. Il 16 maggio una settantina di colleghe e colleghi poliziotti, agenti della penitenziaria, militari dei carabinieri, della finanza e dell’esercito, vigili del fuoco e urbani hanno donato il sangue in segno di ringraziamento.
Di Martino, hanno riferito i medici, ha subito cinque arresti cardiaci ed è sopravvissuto perché giovane. E anche determinato, nel letto d’ospedale quando doveva lottare per vivere e alla stazione di Lambrate nel momento in cui ha capito di essere stato ferito. «Il mio unico pensiero era che dovevo fermarlo. Sentivo che era grave, ma ho detto: “Anche se devo morire, lo devo fermare”», ha raccontato. «Lo rifarei, ancora oggi. Pienamente. L’ho fatto perché il mio compito è mantenere la sicurezza per tutti i cittadini. Devo ringraziare mio padre. Anche lui era un poliziotto e mi ha trasmesso questa passione che ho portato avanti».
I precedenti
Hassan Hamis è in Italia da vent’anni, ha alle spalle diversi precedenti, ventidue false identità e tre ordini di espulsione mai eseguiti. Solo tre giorni prima dell’aggressione, domenica 5 maggio, è stato fermato dalla Polfer di Bologna perché minacciava i passeggeri di un treno con un rasoio ed è stato denunciato a piede libero per resistenza. Ma il carcere lo conosce bene, essendoci finito in svariate occasioni per rapina, furto, lesioni, stupefacenti, sequestro di persona.
Stando a quanto ricostruito dalla polizia, il trentasettenne non avrebbe mai avuto un permesso di soggiorno e ha ricevuto più volte provvedimenti di espulsione, ma nessuno è mai stato eseguito. Due sono stati adottati nei suoi confronti dal prefetto di Napoli, nel 2004 e nel 2012, entrambi non vengono rispettati e intanto la sua fedina penale si allunga, è condannato per spaccio e reati contro il patrimonio tra il 2013 e il 2020, facendo dentro e fuori dalle case circondariali di Poggioreale e di Ariano Irpino. Nel 2021 è la questura di Avellino a organizzare il rimpatrio, contatta il Marocco senza tuttavia ricevere risposta.
A luglio 2023, stabilisce un’ordinanza del prefetto della città irpina, Hamis deve essere trasferito in un Cpr, Centro di permanenza per i rimpatri, però non c’è posto: entro sette giorni avrebbe dovuto lasciare il territorio nazionale ma non lo fa. E l’8 maggio 2024 riemerge dall’ombra alla stazione di Lambrate. Davanti al gup Silvia Perrucci, che non ha concesso la perizia psichiatrica su istanza presentata dalla difesa, Hamis ha chiesto scusa. E nel primo interrogatorio di convalida dell’arresto ha tentato di giustificare se stesso: «Sono dispiaciuto per quello che è successo, è stata una reazione alla situazione di disagio e tensione in cui mi trovo».