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Aurora Rosati, giovane mamma di Ceccano, è stata operata con successo contro quel “tuffo al cuore” che avrebbe potuto ucciderla da quando era una bimba. La scambiavano tutti per ansia, ma è una malattia subdola: la Tachicardia parossistica sopra ventricolare (Tpsv). La 21enne ha avvertito fino a 280 battiti al minuto, il triplo di una frequenza cardiaca normale. È come un cortocircuito che provoca scosse elettriche attorno al cuore. L'aritmia, però, può essere scoperta soltanto mentre sopraggiunge. Aurora ha rischiato di morire negli ultimi quindici anni, da ultimo assieme al nascituro nel corso della recente gravidanza. Ora l’operazione all’ospedale “San Filippo Neri” di Roma, nel reparto di cardiologia intensiva e interventistica, dopo una diagnosi provvidenziale. I "filamenti elettrici" sono stati ormai saldati con l'azoto liquido. Si sente fortunata e vuole che la sua storia sia d’aiuto ad altri che possano rivedersi nella sua.
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COSA HA DETTO
D’altro canto, però, è comprensibilmente atterrita e arrabbiata al solo pensiero dei pericoli corsi da lei e, quand’era incinta, anche dal feto. «Sono passata dal curare un’ansia - racconta Aurora - a dover affrontare un intervento al cuore, in parte da sveglia, sentendo dolore, fastidio, paura e bruciore per chiudere quei “fili” difettosa. La mia patologia è invisibile. Il mio cuore è perfettamente sano. Si può scoprire solo se si registra con l’elettrocardiogramma al momento della crisi». Compagna di Gianluca e mamma di Nicolò, ormai battezzato nel santuario di Maria a fiume, Aurora Rosati ha costantemente temuto di sentir battere il cuore all’impazzata da un momento all’altro. Nessuno, però, aveva dato peso a quelle pericolose aritmie raccontate dalla ventunenne ceccanese. «Quando avevo sei anni, i medici mi dissero “Pensi troppo per la tua età” - racconta Aurora -. Eppure ero semplicemente a scuola e, d’improvviso, il mio cuore iniziò a sussultare. A distanza di mesi, a volte anni, mi succedeva la stessa cosa. Qualche minuto e passava, non importava dove fossi o cosa stessi facendo». Eppure era sana come un pesce. Nessuna visita poteva portare alla scoperta della patologia, se non un elettrocardiogramma durante la tachicardia. «Sono stata convinta di soffrire di ansia - continua la giovane mamma -. Tutti mi dicevano che avevo bisogno di uno psicologo, ero ipocondriaca e avevo dei disturbi della personalità. Eppure non ero mai convinta. Sentivo che qualcosa non andava e mi veniva risposto “È semplicemente il frutto della tua forte ansia” e quando i miei battiti arrivavano a 200 mi si diceva “Sono attacchi di panico”».
La patologia avrebbe potuto ripresentarsi anche quando era ormai incinta di Nicolò. «Ho portato per nove mesi il mio bambino nella pancia - dice a riguardo - senza poter minimamente pensare ai rischi che correvamo entrambi. In fondo ero solo un soggetto ansioso, no? E invece, una mattina qualsiasi, tornò dopo qualche anno quel tuffo immenso al petto e i miei battiti in meno di un secondo arrivarono a 280». Pareva quasi che il cuore le potesse scoppiare. In pronto soccorso, finalmente, la diagnosi giusta dopo quindici anni a rischio di “cortocircuito” cardiaco. «La prima cosa che ho pensato - conclude Aurora Rosati - è stata “E se mi fosse successo con mio figlio in grembo?”. Ho avuto una puntura per fermare quei battiti, a cui penso ogni giorno da quel momento. È stata la sensazione più brutta della mia vita, come stoppare un tram di petto. Non facevo che piangere e sperare di poter crescere il mio bambino. Ma adesso il lato positivo è che so cosa curare».