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Il settore dell’auto non dà segnali di ripresa. E le voci preoccupate dei manager che non sanno più dove puntare il timone vengono confermate dai dati di vendita che evidenziano pesanti perdite. Meno vetture si consegnano, meno c’è necessità di produrne, con la conseguenza che le fabbriche sono troppe e la forza lavoro in esubero. L’equazione è semplice, la conseguenze economico-sociali possono essere drammatiche. Ieri l’Acea, l’Associazione dei Costruttori Europei, ha divulgato i dati del mese scorso e, benché l’atmosfera non fosse allegra, i numeri superano le previsioni più pessimistiche. Sia per l’auto termica che, in particolare, per quella elettrica.
Ad agosto, nel Continente “allargato” di cui fanno parte UE, UK e paesi EFTA, sono state targate “solo” 755.717 autovetture, il 16,5% in meno dello stesso periodo dello scorso anno. La botta incide anche sul cumulato che stava tentando un faticoso recupero verso le posizioni pre-covid sulle quali appare difficile tornare. E il comparto già all’epoca era sovradimensionato per le richieste. Nei primi 8 mesi del 2024 sono state immatricolati 8.661.401 esemplari, appena l’1,7% in più del 2023. Qualche giorno fa i dati italiani erano sembrati pessimi, ma andiamo meglio della media continentale e, soprattutto, dei due paesi che da sempre trainano l’Europa. La Germania, infatti, ha perso quasi un terzo delle vendite con un -27,8% e la Francia è subito in scia con -24,3%. La Spagna ha fatto leggermente meglio di noi (-6,5%), mentre extracomunitario Regno Unito è quasi in pareggio (-1,3%).
In questo scenario generale a tinte fosche emerge il tonfo dell’auto ecologica, tanto da poter affermare che la transizione energetica, così come è stata impostata, non funziona. Ad agosto le 100% elettriche sono crollate del 36% (da 196.686 a 125.833), portando le perdite del cumulato ad un non trascurabile 5,5% (da 1.283.766 a 1.213.626) con una quota sul mercato totale che si attesta al 16,7%. Le altre vetture con la spina, le ibride plug-in sono scese del 22% con una quota però più bassa (7%). Crescono la ibride non ricaricabili (+8,3%), ma significa poco perché tutte le vetture termiche a breve avranno una qualche forma di ibridizzazione per recuperare energia, ma si muovono sempre con la spinta degli idrocarburi.
La quota delle ricaricabili (Bev più Phev) nel continente nell’ultimo mese è scesa al 23,6%, ma nei 5 paesi più grandi è sprofondata al 19,5% con uno schianto del -43,9%. I motivi di tale frenata sono tanti e spesso analisti ed addetti ai lavori non sono dello stesso parere, ma è ormai evidente che serve qualche vigoroso correttivo. Il nostro Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è uno dei più attivi, lunedì incontrerà a Palazzo Piacentini Confindustria e sindacati ai quali anticiperà la politica industriale per il settore che tre giorni dopo illustrerà a Bruxelles. Il rappresentante dell’Esecutivo ha già detto che chiederà di anticipare all’inizio del prossimo anno l'attivazione della clausola di revisione prevista dal «Regolamento in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli leggeri» che doveva essere alla fine del 2026.
In concomitanza con l’uscita dei dati di agosto la stessa Acea ha scritto a Bruxelles allineandosi sulla posizione italiana è chiedendo l’anticipo al 2025 della discussione su un tema non più rinviabile: «Servono misure urgenti». Non tutti, però, sono d’accordo, c’è una parte che ritiene di aver fatto grandi sforzi per prepararsi, investendo cifre ingenti ed ora che ha i modelli pronti potrebbero di nuovo cambiare le regole. In ogni caso rischia di essere superficiale dare tutte le colpe della crisi alla transizione perché il problema è molto più ampio e coinvolge tutte le auto. In Europa si vendono molte meno vetture e, come ha detto la premier Meloni, i giovani non considerano più l’auto un oggetto indispensabile.
A questa contrazione del mercato interno si affianca la nuova presenza del gigante cinese. Pechino ha un industria del settore enorme e valida e farà tutti i tipi di pressione per valicare i nostri confini. È vero, la Cina ha ormai virato sull’auto elettrica, ma i loro prodotti termici fanno lo stesso paura. In più hanno concluso la fase che prevedeva le joint venture con i costruttore esteri, puntano con decisione sui brand locali creando forti turbolenze alla case occidentali, almeno quelle più impegnate in Oriente.
Questo scenario spiega in parte l’impasse della Volkswagen sulla quale ogni giorno ci sono voci sempre più allarmistiche. I conti non tornano e gli esuberi stanno diventando non gestibili, richiedendo il sacrificio di 2 o 3 fabbriche e almeno 15 mila dipendenti. Nell’ultimo mese il gruppo di Wolfsburg ha perso meno del mercato, -13,3% rispetto ad un -28,7% di Stellantis, arrivando ad una quota record del 27,7%. Spesso, però, spingere le vendite per alimentare gli stabilimenti non è la soluzione dal punto di vista economico.