ARTICLE AD BOX
«Ho avuto paura per la mia vita. Quando pensi di essere accusata di qualcosa di molto grave in un Paese dove ci sono punizioni definitive, hai paura anche di quello. Te lo sogni, poi sei poco lucida, non ti fidi della tua memoria se non dormi». Cecilia Sala ha raccontato nel suo podcast “Stories” di Chora News l’incubo dei 20 giorni trascorsi in una cella di isolamento del carcere di Evin, a Teheran, in cui è stata reclusa senza che le fosse spiegato il motivo. Le mancava il cielo, l’orizzonte, la luce del sole, parlare con le persone, leggere un libro. «Il silenzio è un altro nemico», ha confessato. Era in un tale stato di alienazione che non riusciva ad avere la percezione del tempo che passava e, per tenersi viva, contava le dita delle mani. Intervistata dal suo direttore Mario Calabresi, ha ripercorso passo dopo passo, dall’arresto fino alla liberazione, la sua prigionia, durante la quale - ha specificato - «non è stata minacciata la mia incolumità fisicamente».
L’ISOLAMENTO
«L’Iran era il Paese dove più volevo tornare, dove c’erano le persone a cui più mi sono affezionata - ha spiegato Cecilia - È molto difficile avere un visto per l’Iran ed ero molto felice di averlo ottenuto prima di questa partenza». Il destino, a volte, può essere beffardo, ma al contempo riservare delle sorprese inaspettate. «Ho trovato miracoloso che l’intervista che avevo fatto il giorno prima di essere arrestata fosse a Zeinab, una comica della “stand up comedian” più famosa di Teheran, e che proprio il giorno prima avessimo parlato di come si sta in una cella di isolamento. E lei mi aveva raccontato che era riuscita a ridere ogni tanto, persino in una cella di isolamento, che le erano venuti in mente degli sketch, delle battute persino lì dentro. Pensare alla sua forza è stato per me di grande aiuto nei giorni successivi».
Così, nonostante tutto, Sala è riuscita a sorridere due volte. «La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c'era un uccellino che faceva un verso buffo». Per rimanere ancorata alla realtà e «provare a scandire le ore», cercava di darsi dei piccoli obiettivi: come la possibilità di essere portata in cortile, anche se c’era il filo spinato e le telecamere puntate su di lei. «L’isolamento è la tua testa - ha spiegato a Calabresi - A un certo punto mi sono ritrovata, ad esempio, a contare i giorni, a contare le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l’unica cosa in inglese. Ho fatto previsioni anche molto negative su quale sarebbe potuto essere il mio destino lì dentro. Ma non ho mai pensato che sarei stata liberata così presto. Le condizioni erano veramente complicate, era davvero difficile tirarmi fuori in 21 giorni. Ci sono persone che sono lì da moltissimo tempo. Avevo letto la notizia poco prima che c'era stato un arresto in Italia (di un iraniano, ndr) e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo del mio arresto, che potesse esserci l’intenzione di usarmi e pensavo che fosse uno scambio molto difficile».
«Quando non hai nulla da fare non ti stanchi, quindi non hai sonno e non dormi. E già lì dentro un’ora, sembra una settimana. E se non dormi e devi riempirne 24 ore, è più faticoso. E la cosa che più volevo era un libro». Ma neanche quello è stato concesso alla giornalista, almeno fino a un giorno prima che venisse liberata. «Avevo chiesto il Corano perché pensavo che fosse l’unico libro in inglese che potessero avere dentro una prigione di massima sicurezza della Repubblica islamica e non mi è stato dato. Per giunta io non vedo senza le lenti e gli occhiali non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni. Perché sono pericolosi, perché puoi usarli per tagliarti. Non ho potuto scrivere, non ho potuto avere una biro per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un’arma». L’aspetto positivo, volendone trovare uno, è che «considero la cucina persiana favolosa: mangiavo tanto riso, c'erano delle lenticchie nel riso, della carne. Il problema non è stato mangiare, è stato dormire».
LA PRIMA NOTTE LIBERA
Anche la prima notte in cui è tornata a casa, a Roma, non è riuscita a prendere sonno. Ma questa volta per una ragione diversa. «Non ho dormito per l’eccitazione, per la gioia, perché volevo stare all'aperto, volevo aprire la finestra, sentire la musica. Le notti precedenti non dormivo per l’angoscia. Mi sono detta che non ci sarebbe stata più una giornata della mia vita in cui non sarei stata all'aria aperta almeno per un po’». Quando il direttore di Chora News le ha chiesto cosa le fosse mancato di più in questi giorni, Cecilia non ha avuto esitazioni: «Daniele, il mio compagno, sa mettere insieme i miei pezzi in tutte le situazioni. Anche adesso è così. E poi un libro, finché non l'ho avuto». Gli ultimi giorni, infatti, i carcerieri della Sala le hanno portato “Kafka sulla spiaggia” dello scrittore giapponese Haruki Murakami. «E ho pensato: “caspita, Kafka! Non il massimo in una cella di isolamento”. Ovviamente non è un libro su Kafka. Però è triste e pieno di sesso, cosa che non mi sarei aspettata di ricevere da una prigione della Repubblica islamica».
LA COMPAGNA DI CELLA
Oltre alla lettura, ciò che ha aiutato la 29enne a sopravvivere è stato comunicare con la compagna di cella (un’oppositrice al regime) nella quale l’avevano trasferita gli ultimi giorni di detenzione. «Riuscivamo a comunicare a gesti, a coccole, ad abbracci, a sorrisi, a risate. Avevamo dei giochi semplici per tenerci allegre o impegnate. L’abbraccio con lei è stato molto potente, prima di andare via». Quando hanno avvisato Cecilia che sarebbe stata liberata, non ci ha creduto fino a che non è arrivata all’aeroporto di Teheran, pensava fosse un «trucco». Poi ha trattenuto la gioia per rispetto della sua compagna che restava lì e «sarebbe stata di nuovo sola come lo ero stata io per tanti giorni». «Ho provato un po’ del senso di colpa dei fortunati - ha confessato la giornalista - Mi sono goduta quel quel viaggio in auto che è stato bellissimo e sarebbe stato bellissimo anche se fossi finita in una caserma dopo. Ma non avrei voluto passare un secondo di più a Teheran una volta uscita dal carcere. Anche se io continuo ad amare l’Iran. Amo le donne iraniane che indossano fieramente il velo, ma non per questo vogliono che esista qualcuno che punisca quelle che non lo fanno. Ora che sono qui, al sicuro, è aumentata la nostalgia per loro».