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Si torna a parlare dell'omicidio di Giulia Cecchettin, dell'assassinio commesso da Filippo Tueretta lo scorso novembre, la maledetta sera dell'11. La lite, l'aggressione prima nel parcheggio sotto casa a Vigonovo, provincia di Padova, dunque una seconda aggressione nella zona industriale di Fossò. Poi il viaggio in auto con il corpo senza vita della 22enne, poi buttato in un canalone.
Si torna a parlare del caso di cronaca che sconvolse l'Italia perché la trasmissione Quarto Grado ha reso pubblici i verbali dell'interrogatorio dello scorso primo dicembre, interrogatori durante i quali Turetta ha anche affermato di aver provato due volte il suicidio dopo aver ucciso Giulia.
"Ho imboccato la strada per Barcis. Mi sono fermato in un punto in cui non c'erano case e sono rimasto un po' lì. Ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi, però anche dopo averlo legato con lo scotch non sono riuscito e l'ho strappato all'ultimo. Allora ho preso lei e sono andato a nasconderla", spiegava Turetta. Il corpo di Giulia Cecchettin sarebbe stato ritrovato soltanto sette giorni dopo, mentre Turetta sarebbe stato arrestato il 18 novembre in Germania, nei pressi di Lipsia, dopo essere fuggito per oltre mille chilometri.
"Avevo un pacchetto di patatine in macchina e una scatolina con qualche biscotto. Non ho mai comprato nulla da mangiare. I soldi che avevo li ho spesi per i rifornimenti di benzina. Volevo togliermi la vita con un coltello che avevo comprato, ma non ci sono riuscito. Pensavo che se avessi fumato e bevuto sambuca sarebbe stato più facile suicidarmi, ma invece ho vomitato in macchina", riprendeva Turetta negli interrogatori. "Ho riacceso il telefono. Cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi, ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ciò ha avuto l'effetto opposto. Mi sono rassegnato a non suicidarmi più e ad essere arrestato", aggiugeva.
Poi i dettagli sulle modalità dell'omicidio: "Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia. La ho uccisa guardandola negli occhi". Il tutto scaturisce, riprendeva Turetta, dal fatto che "volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un'altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d'illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava sentendo con un altro ragazzo".
"Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando Sei matto, vafff***, lasciami in pace, raccontava Turetta alla pm. "Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch'io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L'ho rincorsa, l'ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava "aiuto" ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l'ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L'ho caricata sul sedile posteriore", concludeva Turetta