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ROMA. Dice di non avere nessun timore per i dazi di Donald Trump. Sostiene il piano americano per liberare Gaza dai palestinesi. Attacca la Corte penale internazionale. Vuole l’uscita dell’Italia dall’organizzazione mondiale della sanità. Chiede l’ennesima rottamazione delle tasse. Come Trump non si fa scrupoli di picconare gli apparati di intelligence e allude a scontri interni ai servizi segreti. Immagina l’Italia connessa dai satelliti di Elon Musk. Risollevato dalla vittoria elettorale repubblicana e dall’assoluzione per il caso Open Arms, Salvini è tornato Salvini. A via Bellerio torna a sventolare la bandiera dei patrioti europei. I toni del segretario sono quelli dello scorso marzo, quando organizzò a Roma “Wind of change” con tutte le destre europee.
Con il ritorno di The Donald alla casa Bianca fra i partiti del centrodestra si è scatenata la corsa all’agenda trumpiana. Come in una gara dei diecimila, il vicepremier leghista è partito a testa bassa nel tentativo di superare a destra la premier, forte del solidissimo legame con la Casa Bianca sancito nel vertice nella residenza di Mar-a-Lago. In Europa è fieramente schierato con i migliori alleati di Trump. Non solo: ha una posizione istituzionale meno complicata della premier e di Antonio Tajani, che da ministro degli Esteri non può permettersi sbandamenti agli estremi. E così Salvini può fare l’alfiere del trumpismo italico. Dalla politica estera all’economia, l’altro vicepremier non perde giorno per smarcarsi e abbracciare lo slogan MEGA, Make Europe Great Again. Un giorno è una carezza a Musk - «può essere utile all'Italia perché con Starlink può connettere il Paese», l’altro a Benjamin Netanyahu, e figuriamoci se dopo il caso Almasri costituisce un problema il mandato di cattura internazionale dell’Aja. Oggi Salvini sarà a Madrid per il raduno degli amici patrioti (fra gli altri Santiago Abascal, Viktor Orbán, Marine Le Pen, Geert Wilders), lunedì, in coincidenza con il ritorno da Washington del premier israeliano, lo incontrerà a Gerusalemme: «Se Trump libera Gaza dall'estremismo islamico e la restituisce a chi ci vuole vivere pacificamente e chiude la guerra in Ucraina, merita il Nobel per la pace». Salvini è la spina quotidiana per Meloni - che cerca di costruirsi il ruolo di pontiere con Washington - e per Tajani, costretto ad aggiustare quotidianamente il tiro sul Medio Oriente. «Con Salvini abbiamo combattuto tante battaglie, continueremo a farlo», abbozza Meloni.
La linea della Lega trumpizzata è la fotocopia di quella di moda a Washington. E così nella foga antisistema finisce l’Organizzazione mondiale della sanità, protagonista della lotta al Covid: una mozione del Consiglio regionale lombardo impegna «a sostenere il governo nella valutazione del ruolo dell’Italia qualora non vi siano più le condizioni di sostenibilità economica per rimanervi». Una «stupidata», sbotta Maurizio Lupi, altro esponente del centrodestra costretto a rintuzzare le sortite dell’alleato. Nel gioco d’azzardo si direbbe che per Salvini è il momento dell’all-in. Il suo capogruppo al Senato Massimilano Romeo, neoleader della Lega Lombarda, ha nominato ai vertici del partito del Nord tutti gli oppositori interni. Se c’è un momento per tentare di svoltare le sorti del consenso - interno ed esterno - è adesso. Nelle ultime ore Salvini ha minacciato anche l’uscita dalla giunta laziale di Francesco Rocca, altro fedelissimo della premier: «Nel Lazio mi pare abbiamo un problema di condivisione».
Per qualche mese il ministro delle Infrastrutture ha fatto il ministro delle Infrastrutture, ma sono stati solo guai. L’Italia è un cantiere a cielo aperto, sui binari circolano troppi treni e il Ponte sullo Stretto è foriero di polemiche quotidiane. Megio affidarsi ai toni anarco-liberisti contro le tasse, e poco importa se tocca entrare in conflitto con Maurizio Leo, vice ministro delle Finanze vicino alla premier. La curva del consenso supertrumpiano porta con sé un solo, enorme, rischio: i dazi. Se il presidente dovesse decidere di colpire i prodotti del Made in Italy, l’elettorato del Nord potrebbe irritarsi. La linea della Lega è troncare e sopire. Spiega Alberto Bagnai, responsabile economico del partito e già leader antieuro: «I dazi consentono un'applicazione selettiva». Viceversa l’altra strada possibile per Trump per ridurre il disavanzo commerciale verso l’Europa - la svalutazione del dollaro - «implicherebbe un aumento dei prezzi dei prodotti dei Paesi che adottano l’euro». In sintesi, la linea del Carroccio è che l’Italia non abbia nulla di cui preoccuparsi e che la vicinanza a Trump sarà anzi un vantaggio competitivo verso gli altri Paesi dell’Unione: «Durante la disputa nel 2019 fra Boeing e Airbus – ricorda Bagnai - Trump decise di imporre dazi ritorsivi sui vini provenienti da Francia, Spagna, Germania. L'atteggiamento del presidente americano è sempre stato favorevole ad accordi bilaterali. Il nostro Paese non è posizionato male e non dobbiamo, almeno in teoria, temere mosse aggressive. Lo stesso non può dirsi di altri governi». Resta un problema che ricorda il ministro delle Imprese Adolfo Urso: «E’ vero che ciascun Paese è libero di trattare con Washington laddove Trump decidesse per dazi selettivi. Ma la politica commerciale è di esclusiva competenza di Bruxelles, e dunque la nostra forza contrattuale può essere fatta valere solo se l’Unione rimane unita».