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A un passo dal traguardo, ma resta il nodo della liberazione totale degli ostaggi e della presenza israeliana nella Striscia. La bozza di accordo è sul tavolo di Mohammed Sinwar, nuovo capo di Hamas succeduto al fratello, e su quello del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che promette «risposte forti e immediate» a ogni violazione di un accordo che ancora non c’è. «È questione di ore o di giorni», dice. «Siamo pronti a una tregua prolungata, ma solo se saranno liberati tutti gli ostaggi». Hamas, da parte sua, pretende le mappe del ritiro completo dell’armata con la Stella di David dalla Striscia che,secondo i miliziani «non sono ancora state inviate». Affermazione però smentita da Israele. Per il presidente Usa, Joe Biden, l’intesa «sta per essere conclusa» e i diplomatici israeliani e americani assicurano «siamo agli sgoccioli». Ma proprio gli ultimi metri della maratona negoziale sono i più insidiosi, troppe volte il cessate il fuoco è sfumato in extremis. L’unica certezza, sia per Israele che per Hamas, è che la tregua va decisa prima del 20 gennaio (come ha anche ribadito il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby), giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, perché altrimenti, come promesso dal tycoon, «sarà l’inferno».
LE CONDIZIONI
La bozza prevede tre fasi, ma già la seconda è incerta. L’unica che conti, oggi, è la prima: 42 giorni di tregua e la liberazione di 33 o 34 ostaggi tra cui le 5 soldatesse insanguinate e vilipese, apparse in un video che ha scioccato l’opinione pubblica israeliana, in cambio di 50 palestinesi ciascuna, in tutto 250, pure condannati per terrorismo e omicidio. I detenuti palestinesi che aspirano a tornare in Cisgiordania e Gaza sono migliaia. Gli israeliani manterrebbero il corridoio Philadelfia, zona cuscinetto al confine fra Gaza e l’Egitto da cui passavano le armi, mentre allenterebbero (non è scontato) la presa sul corridoio Netzarim che taglia in due la Striscia e consente all’Idf, l’esercito con la stella di David, di perquisire chi si sposta da nord a sud e viceversa, e arrestare i miliziani di Hamas. Di fatto, la prima fase si ridurrebbe allo scambio di prigionieri, in particolare le donne, i bambini e neonati, gli anziani, i feriti e i malati israeliani. Nella seconda, si dovrebbe trattare la liberazione di tutti gli ostaggi, o dei loro corpi, ancora in mano a Hamas, e nella terza il nuovo assetto della Striscia. Un accordo “graduale”. Ma su questo le posizioni restano distanti. Sinwar non rinuncia al governo: per il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, Hamas avrebbe arruolato tanti miliziani quanti ne ha persi in battaglia. «Israele dovrà accettare la riunificazione della Striscia e della Cisgiordania sotto la direzione dell'Autorità palestinese» che, dal canto suo, deve accelerare con le riforme, ha detto il segretario di Stato. Israele, da parte sua, vuole poter intervenire se qualcosa andrà storto, come sta facendo in Libano se vede una violazione del cessate il fuoco a sud del Litani. Gli emissari del Qatar premono su Hamas perché accetti l’offerta, lo stesso sta facendo l’amministrazione americana, in sintonia Biden e Trump attraverso i loro inviati in Medio Oriente, su Israele. Netanyahu deve però fronteggiare le resistenze interne. Da sinistra l’accusa di aver perso tempo per un accordo che avrebbe potuto stringere ben prima, ma non l’avrebbe fatto aspettando l’insediamento di Trump. Da destra, i ministri Ben Gvir e Smotrich, si schierano contro il compromesso. Il primo rivendica di averlo impedito più volte. Il secondo lo definisce una potenziale «catastrofe per la sicurezza di Israele». Consiglieri di Netanyahu fanno sapere c’è stata «flessibilità» da parte del governo, concessioni come il rilascio di terroristi e assassini, solo perché «l’obiettivo è riportare a casa gli ostaggi». Resta pure il nodo del corpo di Yahya Sinwar, che il fratello rivuole a Gaza, per trasformarlo in un martire da venerare. E la richiesta palestinese di liberare il leader della seconda Intifada, Marwan Barghouti, possibile nuovo leader della Striscia. Il sistema sanitario israeliano si prepara a curare gli ostaggi, certo non nelle condizioni di quelli rilasciati nel novembre 2022. Basta guardare il video delle soldatesse di frontiera, che fra l’altro avevano segnalato invano i movimenti alle barriere che vennero sottovalutati dai vertici dei servizi. Naama Levy è la 19enne trascinata fuori dal pickup, i pantaloni della tuta insanguinati per sospetta violenza, zoppicante mentre i terroristi esultano «Allah Akhbar». Liri Albag, Karina Ariev, Agam Berger e Daniella Gilboa, le altre quattro, hanno compiuto 20 anni in prigionia, 466 giorni di martirio dal 7 ottobre. Per Hamas, merce di scambio preziosa. Il video che le filma mentre vengono insultate, le mani legate, il viso tumefatto, insanguinato, con i guerriglieri che le irridono, ha reso ancora più urgente lo scambio. Terrorismo psicologico, come gli ostaggi ripresi mentre si appellano a Netanyahu e lo accusano, prima di essere uccisi. Il Wall Street Journal ha riportato un sondaggio dell’Anti-Defamation League, fondazione contro il razzismo, per cui nel mondo oltre metà degli uomini ha sentimenti antisemiti. Un effetto paradossale del 7 ottobre. Blinken presenta il suo piano per la ricostruzione di Gaza, sponsorizzando l’Autorità nazionale palestinese per il governo di Cisgiordania e Striscia. Scenario rilanciato ieri dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha incontrato a Roma il suo omologo israeliano, Gideon Sa’ar, annunciando che nei prossimi giorni sarà di nuovo «in Israele e in Palestina». «Trattiamo solo con l’Anp», ha detto Tajani, mentre Sa’ar ha tuonato: «L’Anp smetta di finanziare i terroristi». E se l’Egitto si candida a ospitare la conferenza internazionale per il dopoguerra, la pace però è lontana.