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Cinque denunce in due anni e la certezza di non aver commesso reati. È da gennaio 2023 che Vittorio Natalini, stimato insegnante di matematica al liceo Flacco di Portici, residente a Torre del Greco, è costretto a difendersi dall’accusa di truffa.
Un incubo alimentato da continue convocazioni in commissariato, lunghi interrogatori in caserma, raccolte di documenti a sua discolpa e il timore di finire stritolato nel perverso meccanismo della malagiustizia. Al professore è stata rubata l’identità e tanto è bastato a scaraventarlo in una situazione dai contorni kafkiani.
L'identità rubata e l'incubo delle denunce
Per ben cinque volte, infatti, il docente è stato tirato in ballo per presunte truffe online commesse ai danni di alcuni utenti che hanno sottoscritto assicurazioni fantasma con un tale Vittorio Natalini che sarebbe nato nel suo stesso giorno ma che sarebbe residente a Castel Volturno. Per quattro volte l’insegnante di Torre del Greco, con l’aiuto dell’avvocato Amato Del Giudice, è riuscito a dimostrare la sua estraneità ai fatti che gli venivano contestati da diverse procure d’Italia. Al quinto caso denunciato da un siciliano, è invece arrivato il rinvio a giudizio. Infatti la documentazione che per quattro volte ha salvato il professore di matematica, non è bastata al giudice del tribunale di Marsala che l’8 gennaio scorso, dopo l’udienza predibattimentale, ha deciso di mandarlo a processo.
Le accuse di truffa
In tutti i casi, l’accusa è di truffa e il meccanismo sarebbe sempre lo stesso: un uomo che si presenta come Vittorio Natalini riesce a chiudere un “vantaggioso” contratto di assicurazione e per sottoscrivere la polizza invia alla vittima un documento d’identità falso. La cifra pattuita – al massimo 300 euro – viene depositata dal malcapitato su una “Money”, una carta ricaricabile. Spesso ci si rende conto di essere stati raggirati solo diverso tempo dopo. Qualcuno lo avrebbe addirittura scoperto durante un normale controllo della polizia stradale. «È un incubo. Vorrei svegliarmi e sapere che è tutto finito, invece non è così», dice Vittorio Natalini che ha già affrontato le spese legali per dimostrare la sua innocenza in quattro diversi casi e ora sopporterà anche i costi di viaggio e soggiorno per difendersi nel processo di Marsala, dove intende presentarsi.
Il racconto
«È iniziato tutto a gennaio 2023 quando sono stato contattato per la prima volta dalla polizia di Stato», racconta il professore. «In quell’occasione ho scoperto che il mio nome, cognome, data e luogo di nascita erano stati utilizzati su una carta d’identità, risultata completamente falsa, con un indirizzo di residenza a Castel Volturno. I poliziotti hanno confrontato la mia fotografia con quella che appariva sul documento e dopo aver fatto una serie di verifiche anche in merito alle mie residenze attuali e pregresse, si sono convinti che si trattava di un’altra persona. Nel frattempo anche io ho presentato denuncia contro ignoti per illecito uso dei miei dati anagrafici». E poiché nulla di ciò che appartiene al professore di matematica coincideva con il documento esibito dal truffatore, tutto sembrava risolto. Ma non è stato così.
«Purtroppo la vicenda non si è conclusa in commissariato - ricorda ancora il docente del Flacco - nei mesi successivi sono stato convocato dai carabinieri di Torre del Greco per avvisi da diverse procure. Insieme all’avvocato Amato Del Giudice, sono stato chiamato in caserma per spiegare l’accaduto. Anche in questo caso è stato accertato che la carta d’identità in possesso delle procure era falsa. Per dimostrare la mia innocenza ho presentato anche un certificato di residenza storico con il quale è stato accertato che non ho mai risieduto in via Imperia, a Castel Volturno. Addirittura ho richiesto e ottenuto una certificazione con la quale l’ufficio anagrafico di Castel Volturno attesta che non ha mai rilasciato la carta d’identità usata dal responsabile delle truffe: questo dimostra ancora una volta che si tratta di un documento falso». Una storia ripetuta più volte negli ultimi anni ma che non è bastata a risolvere la questione perché, a quanto pare, le procure e le forze dell’ordine non dialogano attraverso un unico database.