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Gaza, tregua vicina. Hamas verso il sì all'intesa. ?Biden: «A un passo dalla firma». Piano in tre fasi

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La tensione a Doha è alta. Un misto di prudenza, ottimismo, speranze e timori che anche questa volta tutto possa crollare all’ultimo. È già successo, e lo sanno bene soprattutto i familiari degli ostaggi nelle mani di Hamas. In questi 15 mesi hanno visto i loro cari scomparire nella Striscia di Gaza. Per più di un anno hanno sperato di ricevere notizie. Hanno resistito al terrorismo psicologico dei miliziani palestinesi. Hanno atteso, in preda all’angoscia, che le trattative arrivassero a una conclusione. Ma la delusione è stata cocente, unita alla rabbia alla frustrazione.

 Negli ultimi giorni, però, qualcosa è cambiato. Il pressing internazionale è diventato di nuovo asfissiante. Su indicazione Usa, ieri si è attivato anche il capo dell’intelligence turca, Ibrahim Kalin, che ha sentito il capo del Consiglio della Shura di Hamas, Muhammad Darwish, e il capo negoziatore, Khalil al Haya. Ma per molti osservatori, ad avere un impatto decisivo sulla partita è stato l’ingresso in campo di Donald Trump. Ieri mattina, Joe Biden ha telefonato all’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani. E in serata, il capo della Casa Bianca ha rivendicato la sua politica estera in Medio Oriente, ha ricordato di avere difeso Israele e indebolito l’Iran e ha spiegato che l’accordo è «una proposta che avevamo presentato dettagliatamente mesi fa». Il tycoon, dal canto suo, ha minacciato «l’inferno» in Medio Oriente, ha spedito il suo uomo di fiducia, Steve Witkoff, prima da Benjamin Netanyahu e poi in Qatar, dove ha incontrato al Thani insieme all’inviato di Biden, Brett McGurk, e il direttore del Mossad, David Barnea. E la volontà di Trump di arrivare a un accordo prima del suo insediamento ha scatenato una sfida con Biden per avere il merito sulla conclusione delle trattative, accelerando il negoziato.

Biden: «Gaza, accordo sul punto di essere chiuso». Hamas: «C'è la volontà di porre fine alla guerra»

LA TRATTATIVA

La bozza dell’accordo tra Israele e Hamas si è cristallizzata ormai da giorni e prevede tre fasi, anche se qualcuno parla di due. Nella prima, è previsto un cessate il fuoco di 42 giorni. E in quel periodo di tregua, saranno liberati 33 ostaggi del cosiddetto “gruppo umanitario”, quindi bambini, donne e uomini malati (o feriti) o oltre i 55 anni. In cambio, Hamas otterrà il rilascio di 1.300 detenuti palestinesi, tra cui anche condannati all’ergastolo, ma non persone imprigionate per il 7 ottobre. E dopo 16 giorni dall’inizio del cessate il fuoco, cominceranno le discussioni sulla seconda fase dell’accordo, quella che prevede il rilascio di tutti gli altri ostaggi (vivi ma anche morti), la liberazione di altri detenuti palestinesi e il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza. Una fase estremamente delicata, perché i mediatori devono ancora discutere dettagli molto importanti. C’è da definire il ritiro dell’Idf, specialmente dal Corridoio Philadelfia. Resta da capire come sarà la cosiddetta “zona cuscinetto”.

 Fonti del quotidiano Haaretz hanno confermato che Israele ha messo il veto sul rilascio di alcuni detenuti che Hamas e le altre milizie ritengono imprescindibili. Fra tutti, Marwan Barghouti, capo del braccio armato di Fatah e leader dell’Intifada. Mentre Hamas sembra abbia preteso il corpo di Yahya Sinwar. La partita è ormai nelle fasi finali, ma sono i dettagli a fare la differenza. E questo vale anche per quanto accade in casa palestinese e israeliana. Hamas deve attendere la risposta del leader de facto della Striscia di Gaza, Mohammed Sinwar. Netanyahu, invece, deve capire come gestire gli alleati di ultradestra, i ministri israeliani Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che già hanno detto di opporsi all’accordo. Il leader dell'opposizione, Yair Lapid, è pronto a garantire al premier i voti di cui ha bisogno, senza passare per gli alleati radicali. E i familiari degli ostaggi attendono di ricevere l’annuncio dell’accordo già alle 14.30, quando è previsto il loro incontro con Netanyahu.

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