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In Italia era arrivato in tutta tranquillità. Sicuro di potere assistere al match Juve-Milan. E infatti è già tornato a Tripoli il generale libico Osema Almasri Habish Najeem, classe ‘79, processato dalla Corte penale internazionale dell’Aia e ricercato per crimini contro l'umanità, omicidio, violenze sessuali plurime, stupro di guerra nelle carceri libiche. Dopo essere stato arrestato sabato in un hotel di Torino dalla Digos, sulla base di un mandato internazionale, ieri è stato espulso. «Un errore procedurale», spiega via Arenula, che ha competenza sulla procedura che avrebbe dovuto essere convalidata dalla Corte d’appello di Roma. I parenti, che vivono a Dubai, rappresentati dai legali di International lawyers associates, erano fiduciosi sin dal primo istante che Nejeem tornasse a casa. I tre connazionali che erano con lui alla partita sono invece stati espulsi dalla prefettura di Torino con la motivazione di favoreggiamento nei confronti del generale latitante.
La notizia non era stata diffusa e comunque coperta da un velo di mistero. E quando lunedì è circolata, il coro è stato unanime: la consegna è il silenzio. Così fino a ieri, quando il generale è salito sul volo che lo ha riposato in Libia. Una vicenda che ricorda, in qualche modo, la liberazione di Mohammad Abedini Najafabad, l’ingegnere iraniano fermato a Malpensa il 16 dicembre e scarcerato lo scorso 12 gennaio, dopo il rilascio di Cecilia Sala, bloccata a Teheran e rinchiusa nel carcere di Evin. Ma questa volta in gioco non c’era la vita di un’italiana.
IL FERMO
Najeem era arrivato a Torino sabato mattina per la partita. La passione dei libici per la Juve ha radici risalenti nel tempo. Nel 2002 Gheddafi era entrato a far parte del capitale bianconero tramite il fondo libico Lafico (Lybian arab foreign investment company) con una quota del 5,3% (che poi raggiunse il 7,5%). E Saadi Gheddafi, figlio del rais, ha giocato nei primi anni Duemila nelle squadre di calcio del Perugia e dell'Udinese. I tre amici libici lo avevano accompagnato all’Holiday Inn di piazza Massaua e in hotel avevano fatto colazione insieme. Dopo avere riposato nella sua stanza, i tre connazionali erano tornati a prenderlo con un'auto a noleggio per andare allo stadio. E proprio davanti all’Alliance stadium le volanti della polizia avevano eseguito un controllo di routine, dopo la fine del match. La richiesta dei documenti e le verifiche di rito: non risultava nulla. Ma qualche ora dopo è arrivata la segnalazione. L’alert Interpol (sulla base di un mandato d’arresto internazionale spiccato dalla Corte dell’Aia lo stesso giorno) li ha obbligati all’arresto. Intorno alle 20,30 si sono presentati con un blitz all’Holiday Inn e il generale è finito in carcere a Torino.
LA SCARCERAZIONE
Ieri mattina si è svolta l’udienza davanti alla Corte d’appello di Roma, ma sul tavolo del procuratore generale Giuseppe Amato la richiesta del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che avrebbe dovuto dare corso alla procedura e sollecitare la custodia in carcere, non è mai arrivata. Alle 16 una nota di via Arenula: «È pervenuta la richiesta della Corte penale internazionale di arresto del cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish. Considerato il complesso carteggio, il ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della Cpi al procuratore generale di Roma». In serata la scarcerazione su richiesta di Amato. Scrivono i giudici della quarta sezione della Corte d’appello: «Il procuratore generale chiede che codesta Corte dichiari l'irritualità dell'arresto, in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; il ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito. Per l'effetto non ricorrono le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all'applicazione della misura cautelare. Ne deriva la immediata scarcerazione del pervenuto». Da via Arenula si spiega che l’errore è stato dell’Alta Corte: non avrebbe informato il ministro. Ma è chiaro che il caso dell’ex direttore del carcere di Mitiga, dove diversi detenuti sarebbero stati sottoposti a torture e i migranti impiegati nei lavori forzati, è stato motivo di imbarazzo per l’Italia.
IL PARERE
«Attendiamo di esaminare nel dettaglio le motivazioni tecniche contenute nel provvedimento, nel rispetto delle garanzie legali - spiega l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, nonché dell’Istituto di politica internazionale e studi geostrategici - È però opportuno interrogarsi seriamente sull’efficacia e sul ruolo dell’istituto della Corte penale internazionale ricordando che alcuni paesi di rilevanza geopolitica, come gli Stati Uniti, Israele e la Russia, non hanno mai ratificato il trattato istitutivo. Le prossime ore saranno utili per chiarire meglio gli equilibri sottostanti a questa vicenda, anche alla luce della necessità di preservare rapporti diplomatici solidi con quella specifica area della Libia e con il contesto internazionale più ampio».