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Gli amici di Biden, quella rete impenetrabile attorno al presidente

6 mesi fa 5
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WASHINGTON. Solo dei sondaggi che certifichino inequivocabilmente che non può vincere potrebbero indurre Joe Biden a rinunciare alla candidatura. Eppure, questa è solo una prima parte della storia, perché la seconda mostra un presidente convinto che quei numeri non ci siano. Alla conferenza stampa di giovedì sera ha mostrato ai reporter che lo incalzavano la convinzione che i sondaggi gli diano ragione, e venerdì sera in un comizio a Detroit dove è apparso pimpante e in assoluto controllo della situazione, Biden è andato all’attacco: «Correrò e vinceremo». «Sto bene, devo portare a termine il lavoro» , ha quindi chiuso.

I sondaggi

Aggrapparsi ai sondaggi per Biden potrebbe non essere la più astuta delle mosse. Ce ne sono quasi 800, fatti con metodi e campioni diversi. I risultati non sono omogenei. Quello diffuso per ultimo da NPR e PBS con l’istituto Marist colloca Biden in vantaggio a livello nazionale di due punti. Per Washington Post/Abc i duellanti sono appaiati al 46%. Altre rivelazioni dipingono uno scenario favorevole a Trump: la media che il sito Real Clear Politics compie quotidianamente vede Trump in testa dall’11 settembre del 2023. Dal giorno del dibattito la forbice si è allargata (ora 2,9% in più per Trump), ma a inizio febbraio il tycoon aveva 3,6 punti in più. Secondo Nate Silver, guru delle analisi dei dati elettorali e fondatore del sito FiveThirtyEight, le chance di vittoria di Biden sono scese dal 34% al 27% di venerdì.

Gli Stati in bilico

Nei tre stati in bilico del Midwest industriale (Wisconsin, Pennsylvania e Michigan), Biden è indietro ovunque. La campagna elettorale cita altre rivelazioni – sondaggi privati commissionati dal team – e in un memo si dice che «i cambiamenti nei dati post dibattito non sono così epocali». Soprattutto «non c’è alcuna indicazione che qualcun altro possa fare meglio del presidente contro Trump».

Le pressioni perché il presidente si ritiri non hanno tregua (ieri un altro gruppo di donatori ha bloccato i fondi) ma hanno scatenato una reazione opposta, ovvero la presa di posizione di leader, attivisti, sindacalisti a favore di Biden. Bernie Sanders, campione dei progressisti, ha chiesto che il presidente resti candidato. In un editoriale sul New York Times, il senatore del Vermont ha scritto che «non solo batterà Trump, ma lo farà con ampio margine». L’ala liberal del partito è, al netto di alcune defezioni, vicina a Biden. Sulla stessa linea di Sanders c’è Alexandria Ocasio-Cortez. Biden ha incontrato su Zoom i membri della “New Democrat Coalition”; venerdì era stata la volta degli ispanici, per rassicurarli sulla capacità di condurre la campagna elettorale. Non ha convinto tutti, il deputato Mike Levin gli ha detto che deve lasciare.

La rete impenetrabile attorno al presidente

Attorno al presidente i consiglieri più stretti hanno costruito una rete impenetrabile per staff e collaboratori. I fedelissimi di Biden sono Mike Donilon, Steve Ricchetti e Bruce Reed, ognuno ha un ruolo apicale nell’organigramma della Casa Bianca. Ma sono caratterizzati da una lunga militanza vicino a Biden, dall’essere ormai “di famiglia” come Annie Tomasini, vicecapo dello staff e vicinissima a Jill Biden. C’è poi Anthony Bernal, consigliere della First Lady e diventato sempre più incisivo e potente. Lui e Annie hanno anche il “pass” RES, quello che consente di accedere alle stanze private dalla coppia presidenziale. Il team tiene una riunione alle 9 del mattino in presenza e poi su Zoom dodici ore dopo e controlla gli accessi al leader, le informazioni che deve avere, la gestione di ogni cosa. Anche l’ufficio stampa, guidato da Karine Jean-Pierre, è spesso all’oscuro. Nei giorni seguenti il dibattito, la portavoce disse al briefing che Biden aveva il raffreddore. Solo 24 ore dopo aggiunse anche il jet-lag come concausa della brutta performance. Come se le informazioni le fossero arrivate a spizzichi. KJP si è presa la responsabilità della dimenticanza.

Donilon, Reed, e Ricchetti sono noti come il “gruppo dei capelli grigi” (o triumvirato). Sono quelli che hanno preparato Biden al dibattito tv. La loro fedeltà verso il presidente starebbe prevalendo sulla realtà. Ricchetti inoltre non è figura molto amata. Lo staff fece le barricate quando Ron Klain, chief of staff, lasciò l’incarico per impedire che Ricchetti diventasse l’uomo più potente della West Wing. Venne poi scelto Jeff Zients. Il “triumvirato” tiene nascoste a Biden - ha scritto Axios in una ricostruzione delle lotte intestine alla Casa Bianca -, le notizie più scomode e i sondaggi meno favorevoli. Sarebbero loro ad aver costruito il fortino nel quale si muove Biden, non si sa per convinzione o per uno spiccato senso di lealtà. Nei giorni scorsi Ricchetti e Anita Dunn, altra fedelissima e con un ruolo nella campagna elettorale, sono andati in Congresso a un pranzo con alcuni deputati per rassicurare sulle condizioni del presidente. Hanno raccolto molta preoccupazione. Ma anche la convinzione che un’uscita di scena, se mai verrà, toccherà gestirla a loro privatamente con Biden.

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