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Governo, il capo di Gabinetto di Palazzo Chigi: «Stop all?amichettismo di chi vorrebbe guidare le scelte della politica»

7 mesi fa 6
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Fisico asciutto, da maratoneta («Ho fatto dieci volte quella di New York e dieci volte quella di Boston, la più affascinante e massacrante. L’ultima gara? La mezza Roma-Ostia»). La sveglia alle cinque del mattino, le cene con la famiglia, una vecchia passione – oggi in buona parte sopita – per il Milan.

E, da ottobre 2022, l’incarico di capo di gabinetto a Palazzo Chigi («Il premier Meloni l’avevo vista una sola volta prima: l’opportunità che mi è stata data mi ha sorpreso e lusingato»). Gaetano Caputi è quello che, in gergo, si chiama “grand commis” dello Stato. Pugliese di Bisceglie, ma ormai romano d’adozione, classe ‘65, avvocato, una lunga carriera di incarichi nella pubblica amministrazione.

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Professor Caputi, com’è l’Italia vista dalla stanza dei bottoni?
«Complicata, molto spesso difficile da capire, frenata da una sorta di immaturità e di non adeguata convinzione nelle proprie capacità ma al tempo stesso affascinante, con enormi potenzialità inespresse, con una classe produttiva che ha voglia di rimanere attaccata al proprio futuro. Per me è, e resta, un onore e un privilegio servire questo Paese, in  qualsiasi ruolo».


Lei è un esponente di punta del cosiddetto Deep State. È vero che il vero potere è lì?
«È un’immagine non corretta, figlia di un vizio di fondo: quello di una cinghia di trasmissione che in certo qual modo non contribuisce a far funzionare le soluzioni che la politica, nella sua centralità e anche sovranità, individua al di fuori da ogni altro vincolo che non sia istituzionale. Se la politica ha il compito di tracciare la rotta, la burocrazia deve fare la sua parte. Se poi le soluzioni individuate si rivelano non corrette saranno gli elettori a dirlo, ma la politica deve avere la sua agibilità e libertà di movimento».


C’è qualcuno, o qualcosa, che vorrebbe limitare questa libertà?
«Diciamo che c’è una forte tendenza al tentativo di condizionare le scelte dell’esecutivo per finalità e canali estranei alla pura scelta politica. E questo è inaccettabile».


È capitato anche a voi?
«Ci sono espressioni di centri di interesse fini a se stessi o estranei a trasparenti dinamiche politiche che sono rimasti completamente spiazzati dalla totale impossibilità di comunicazione con quest’esecutivo».


Può fare degli esempi?
«Le posso dire che da parte nostra non c’è nessuna forma di dialogo amichevole o di accondiscendenza a questo tipo di approccio del tutto privo di sana grammatica istituzionale. Non c’è spazio neanche per alcun diritto di tribuna. Una cosa è il confronto tecnico con i protagonisti dei vari dossier, che è indispensabile perché molto spesso serve a mantenere il contatto con la realtà dei diversi problemi: non stiamo dentro al Palazzo come dentro una bolla. Altra cosa è farsi guidare la mano nelle scelte».


Quali dossier sono più “esposti” a questo tipo di attenzioni?
«È evidente che dove ci sono grandi interessi economici è più facile imbattersi in un certo tipo di tentativi di approcci».


Che differenza c’è tra quello di cui parla e una normale attività di lobbying?
«Una differenza sostanziale. L’attività di lobbying è legittima e auspicabile. Quando viene fatta in maniera trasparente e competente è persino necessaria. Qui stiamo parlando di altro».


Si riferisce al famoso “amichettismo” citato dal premier Meloni nella sua conferenza di inizio anno?
«Quella è un’immagine plastica, che meglio di tutte le parole sintetizza un approccio anomalo e inappropriato, quello per cui la gestione di certi dossier dovrebbe essere condizionata dall’essere amico di qualcuno. E la prova è che dopo quelle parole del presidente del consiglio la reazione è stata immediata, istantanea».


Quali sono stati i segnali?
«Subito dopo quella posizione pubblica ha ripreso vigore una campagna di attacchi rivolta anche a chi più da vicino collabora con il presidente Meloni».


Non è normale che ogni schieramento politico abbia i suoi amici e i suoi avversari, i suoi sostenitori e i suoi detrattori?
«Certo, ognuno ha i propri elettori e gente che non voterebbe mai per lui. Ma un conto è professare delle idee politiche, un altro è pensare di condizionare certe scelte. E se gestissimo certi dossier importanti, specie economici, sulla base dell’appartenenza politica faremmo un cattivo servizio alla Nazione e tradiremmo il mandato istituzionale».


Che idea si è fatto del caso dossieraggi, l’inchiesta di Perugia?
«Premesso che quello che è oggetto dell’inchiesta  non lo conosco e non lo commento, ciò che leggo sulla stampa è abbastanza bizzarro: un’attenzione spasmodica e un po’ strabica solo verso alcuni soggetti ben individuati, con un utilizzo di informazioni che trova spazio mediaticamente con la veicolazione solo su alcuni organi di stampa. Sarà una casualità...».


Anche lei è finito al centro delle attenzioni della stampa per due vicende. I suoi rapporti con Roberto Alesse e una gara bandita dal Consiglio del notariato vinto da una società considerata vicina a lei. 
«La mia vicenda personale è molto semplice: faccio questo lavoro da decenni, sono un professionista e ho ricoperto incarichi pubblici. Ma non ho mai mescolato i diversi piani di attività. Sostenere il contrario è sostenere il falso e chi lo fa si sottopone alle conseguenze giudiziarie. Ho già attivato i rimedi del caso davanti agli organi giurisdizionali competenti. Preoccupante è invece il tentativo, usato non soltanto con me, di usare strumentalmente attacchi personali fatti solo di insinuazioni offensive e allusioni infamanti per delegittimare istituzioni non accondiscendenti».


Lei è uno dei vertici amministrativi del governo, non è inevitabile finire sotto i riflettori?
«La vicinanza ai centri decisionali determina una maggiore attenzione. È giusto e fisiologico, tutto sta a capire cosa significa. Un conto è il ruolo di “cane da guardia del potere” che l’informazione esercita, un altro è andare fuori dalle righe, magari a servizio di ben altre finalità».


Dopo le parole di Meloni sull’amichettismo l’hanno chiamata in molti?
«Diversi operatori si sono sentiti spiazzati e in imbarazzo per quella chiara presa di posizione».
Crede che sia un fenomeno romano? Salotti, circoli, mondi nel quale tutto si tocca e si mescola?
«Sono innamorato di Roma, credo sia più che altro una non sana relazione tra il cosiddetto potere e la cerchia di persone che ci entra in contatto».


Lei non frequenta salotti?
«Non sono un alieno. Ho i miei circoli sportivi, le mie attività extra-lavoro, mi piace il contatto con le persone. Ma un conto è la vita sociale, un altro è il lavoro. Restano su due piani diversi».


Esiste un problema di classe dirigente amministrativa in Italia?
«È un problema serio, per tre motivi che vengono dal recente passato. Il blocco del turnover, che ha frenato il ricambio e il conseguente fisiologico slancio di entusiasmo; la delegittimazione demagogica della pubblica amministrazione che ha allontanato le forze migliori; il mito dell’amministrazione leggera che ha finito per marginalizzarne il ruolo. Una miscela esplosiva di cui oggi paghiamo le conseguenze».


Cosa fare? Ripartire dalle scuole di Alta formazione?
«Devo dire che la Sna (Scuola nazionale amministrazione, ndr), dopo alterne vicende, con Paola Severino ha poderosamente invertito la tendenza puntando sulla qualità. Sì, si può ripartire da qui».


Professor Caputi, per le sue mani passano alcuni dei dossier politico/economici più importanti. Come finisce la partita Ita-Lufthansa?
«Stiamo aspettando che la Commissione europea indichi i remedies per le due compagnie. Ma oltre giugno non si può andare».


L’ex Ilva?
«Abbiamo fatto la cosa migliore possibile, date le condizioni ereditate. Ci sono possibili nuovi soci privati che si sono affacciati, in attesa di presentare un’offerta. Intanto dovrà essere definita la gestione degli asset e riavviata la linea produttiva con tutte le garanzie per la sicurezza dei lavoratori e la regolarità della produzione».


E Tim?
«Entro l’estate ci sarà il closing per la creazione della rete nazionale Netco».


Dica la verità: trattando queste materie anche lei ha indossato l’elmetto, come ha detto il presidente Meloni?
«Data la mia età, io l’ho fatto il servizio militare. Da soldato semplice, ci sono abituato».
 

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