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Hassan Nasrallah, le sette vite dell’imprendibile

4 ore fa 1
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Il passato. È convenzione assodata che al momento della morte un uomo riveda in un attimo il passato, il suo passato, come se la bobina della memoria lasciasse scorrere in un tempo brevissimo tutto il filo che ha pazientemente avvolto. Il passato di Nasrallah, “la vittoria di dio”, questo significa il suo nome: denso, gonfio, un raccolto sempre pieno di ardori e di molto sangue. E dal mistero. Avvolto dai labirinti della politica e dal fragore delle cannonate, della morte che recluta alla rinfusa. Nasrallah è il nostro tempo: tabula rasa, bombe umane, il bazar impazzito delle identità, gli spettri di un futuro abolito, odore di apocalisse. I miei carcerieri in Siria, jihadisti sunniti, quando appariva alla televisione, lui l’alleato micidiale di Bashar, esplodevano in maledizioni furibonde, sputavano verso lo schermo in segno di odio: ma era l’unico di cui avevano davvero profondamente paura.

il mondo in bilico

Perché i leader non sanno mediare

domenico quirico 26 Settembre 2024

Nel bunker di Beirut, ieri, mentre la terra sembrava gonfiarsi sotto le esplosioni e la morte mai gli era stata così vicina («Io e Israele abbiamo una lunga storia di vendette... ») deve aver riavvolto quel filo e ripensato a quell’incontro, a Najaf, la città dei santi sciiti. Aveva allora diciotto anni; lo presentarono a un uomo anziano avvolto da spessi panni neri, era un esule braccato da un re potente che disponeva di eserciti polizia petrolio, ma era davanti ai suoi occhi terribili che si inchinavano tremando milioni di sciiti: il santo di Qom mormoravano. Nasrallah era uno studente di un collegio islamico, lo frequentava perché un famoso teologo libanese era rimasto affascinato dal fervore con cui un ragazzino malvestito figlio di un fornaio povero della bidonville di Beirut leggeva i ponderosi libri della fede. Quell’uomo era Khomeini. Non aveva ancora messo in atto il piano con cui avrebbe atterrato lo scià e cambiato la storia del mondo, usare dio per conquistare il potere, ma nei suoi occhi c’era già un destino. Il ragazzo libanese non avrebbe più dimenticato quegli attimi, la sua vita era stata assorbita da quello sguardo: «Con lui il tempo e lo spazio diventavano immateriali».

Adesso nel bunker dove la leggenda dell’imprendibile e la caccia di Israele sembravano scrivere l’ultimo capitolo, capiva che le sconfitte quando la sorte muta sono come il fulmine incominciano con l’accecare e ci vuole un po’ di tempo prima di rendersene conto. Che valore aveva allora il rimpianto per non essere diventato come l’ayatollah Khomeini, o ancor di più, come non aveva neppure osato confessarlo, “mayaa” guida suprema per milioni di credenti. Come un altro dei grandi incontrati a Najaf, al Sistani. Era rimasto “sua eminenza” Nasrallah, l’aristocrazia religiosa non l’aveva mai adottato. Ma chi era il vero signore del Libano, senza aver mai ricoperto neppure una carica ufficiale? Lui, il capo guida padrone del partito di dio e di un esercito che poteva sconfiggere Israele.

Che fosse costretto a vivere da decenni nascosto, guardato a vista da una guardia formata da fedelissimi con divise nere e grigie, che le sue apparizioni fossero improvvise e parlasse dietro un vetro antiproiettile, che la stessa vita da recluso fosse il peso imposto anche ai suoi otto fratelli alla moglie e ai figli di cui non si conosceva nemmeno il volto, beh questo era il peso del potere e della lotta.

E poi c’era un’altra data, anno 1997, un luogo a Sud vicino alla frontiera con Israele, un ragazzo di diciotto anni, una imboscata che finisce male, i soldati reagiscono, quel ragazzo che si chiamava Hadi resta a terra, la sabbia assorbe lenta e pietosa il suo sangue. Era il figlio che più amava. Quel giorno non cancellò neppure uno degli impegni che aveva in programma: «Sono fiero di essere anche io il padre di un martire... ». Il sangue, c’è molto sangue nella storia degli sciiti, di questi eretici braccati per secoli e ora potenti.

E poi gli anni della guerra civile dall’82 all’85, strage quotidiana di innocenti divenuti bersagli di una guerra insensata. E gli attentati memorabili, i 58 soldati francesi e i 240 marines americani fatti saltare in aria. «Un debito di sangue che hezbollah dovrà prima o poi pagare» giurarono gli americani. Nasrallah li attraversa nel silenzio, la nascita ufficiale del partito di dio l’ha fissata non nell’82 come pare, ma nell’85. «Mai da quando siamo nati abbiamo compiuto un solo attentato contro gli americani», affermava. Ma molti sono certi che quelle misteriose sigle “I diseredati della terra”, “Giustizia rivoluzionaria” erano in realtà Hezbollah. La sua biografia racconta che studiava e pregava in un seminario nel sud. Nel ’92 quando gli israeliani uccidono il capo di Hezbollah Abbas al Massur, e la sua famiglia, è l’unica occasione in cui ammette di aver pianto. E poi ne prende il posto.

Senza l’Iran sarebbe rimasto il capo di un piccolo gruppo terroristico, sono i milioni di dollari le armi i Guardiani della rivoluzione mandati da Teheran che sogna la mezzaluna sciita dal Mediterraneo al Golfo persico che l’hanno reso il capo di un esercito che nel 2000 costringe Israele a ritirarsi dopo ventidue anni di occupazione del Sud portandosi dietro novecento morti. Il “liberatore del Libano” parla a un milione di libanesi in delirio. E poi nel 2004 lo scambio che sembra impossibile: tre soldati israeliani morti e un colonnello scambiati con trenta libanesi e quattrocento prigionieri palestinesi.

Nasrallah trasforma Hezbollah da milizia in partito, entra nel labirinto della politica di Beirut da protagonista ma ribadisce che non vuole uno Stato teocratico come l’Iran: non ci sono le condizioni. Il 7 ottobre lo costringe a venire allo scoperto. Deve applicare la strategia di Teheran, subire gli attacchi, non imbastire vendette clamorose che offrano a Netanyahu la motivazione per invadere, e reagire usurando Israele con la pioggia di razzi che trasformano la Galilea in un deserto vuoto e centomila israeliani in profughi: la attesa è già la punizione…

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