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Il Global Risk Report 2025 del Forum di Davos, meglio noto come World Economic Forum, parla chiaro, anzi chiarissimo, almeno per quanti vogliano ascoltarne il messaggio e non compiere il famigerato gesto dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere ciò che gli sta intorno. Così leggo, ad esempio, su Il Giornale d’Italia. “A breve termine, la disinformazione è vista come una grave minaccia.
Il World Economic Forum attribuisce questa percezione all’aumento della diffusione di notizie false, alla riduzione del fact-checking sui social media e all’incremento di contenuti generati dall’intelligenza artificiale. Il tema è al centro dell’incontro di Davos”. In buona sostanza, gli oligarchi della globalizzazione turbo-capitalistica temono l’emergere di visioni contrastanti rispetto all’ordine simbolico che contempla il dominio di classe del patriziato cosmopolitico radunatosi a Davos.
Espressioni come fake news e disinformazione chiedono allora di essere lette in chiave politica più che teoretica e scientifica. Indicano, infatti, quella gamma di narrazioni divergenti rispetto all’ordine simbolico funzionale al dominio di classe dei gruppi dirigenti nel quadro della mondializzazione neoliberale. Poiché la lotta di classe è sempre anche una lotta simbolica e culturale – Gramsci docet – non stupisce che i gruppi dirigenti si stiano ferocemente organizzando per reprimere il dissenso e l’emergere di ogni visione alternativa, eventualmente in grado di smascherare il loro dominio e di prospettare feconde piste di emancipazione rispetto al mondo reificato dell’asimmetria planetaria, pudicamente detta globalizzazione.
Lo sappiamo ormai benissimo. Il demenziale sistema di fact-checking evocato dagli oligarchi di Davos, ovvero la censura postmoderna, risponde essenzialmente a questo obiettivo: il silenziamento delle voci divergenti rispetto allo storytelling egemonico, subito equiparate ideologicamente alle follie di chi sostiene che la Terra è piatta.
Non dobbiamo meravigliarcene. Da qui in avanti il sistema di repressione del dissenso si intensificherà e naturalmente giustificherà sempre sé stesso come funzionale alla tenuta dell’ordine democratico. Peccato, tuttavia, che l’ordine oggi dominante e imperante non abbia nulla di democratico, fuorché il nome.
Non si tratta infatti di democrazia, ma – lo definiamo così – di plutocrazia neoliberale finanziaria su base imperialistica. Un sistema infernale in cui quella che viene detta democrazia, con nome nobile e altisonante, non è altro che l’autogoverno oligarchico dei gruppi dominanti. Una volta di più – quod erat demonstrandum – il Forum di Davos rivela la propria essenza di consesso in cui i gruppi dominanti stabiliscono autocraticamente le traiettorie del proprio dominio di classe, da imporre poi agli Stati nazionali e ai Parlamenti, chiamati ad attuarle cadavericamente senza battere ciglio.
Destra e sinistra, more solito, svolgono la parte di indecorosi maggiordomi al servizio della global class turbo-capitalistica, in questi giorni radunatasi a Davos per fissare i contorni delle proprie politiche di classe. Politiche di classe che, lo ripetiamo, di democratico non hanno nulla e segnano anzi il tramonto della democrazia e dell’Occidente stesso, o meglio, dell’“Uccidente” liberal-atlantista.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro