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Kamala Harris rompe il tabù armi: «Ho una pistola». E in Georgia parte la lotta sui conteggi

4 ore fa 2
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NEW YORK Kamala “la pistolera”. L’immagine inedita della vicepresidente sta tenendo banco sui media americani, dopo che in una conversazione con Oprah Winfrey ha rivelato non solo di possedere un’arma da fuoco, ma di essere pronta a sparare se qualcuno «facesse irruzione» in casa sua.

Winfrey, che aveva accompagnato Harris per un appuntamento elettorale nel Michigan, è stata presa in contropiede, e la stessa vicepresidente è sembrata quasi pentirsi di averlo detto, tant’è che ha aggiunto, ridendo: «Forse non avrei dovuto dirlo, ma il mio staff se ne occuperà più tardi».

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L’INTERVENTO
L’uscita inattesa è avvenuta mentre Harris e Winfrey stavano tenendo un town-hall virtuale. Altri vip sono intervenuti, come Meryl Streep, Julia Roberts, Jennifer Lopez, e centinaia di migliaia di persone hanno seguito l’appuntamento, e le appassionate testimonianza di tante donne sul diritto di aborto. Ma tutto è stato eclissato dalle dichiarazioni di Harris sulle armi.

La vicepresidente voleva contestare le continue accuse dei repubblicani che sostengono che lei e il suo vice Tim Walz vogliano confiscare tutte le armi. Infatti Harris aveva cominciato il discorso precisando: «Non stiamo cercando di togliere le armi a tutti. Credo nel Secondo Emendamento - ha detto, riferendosi all’Emendamento costituzionale che permette il porto d’armi -. Proponiamo misure di buon senso, sono in favore del bando alle armi d’assalto, sono favorevole ai controlli di background».

Solo dopo, a confermare che non ce l’ha con quel 33% di americani che hanno pistole a casa per motivi di difesa personale, ha ammesso di averne una anche lei, cosa che peraltro aveva già detto in varie altre occasioni, quando era ancora procuratrice distrettuale e doveva avere a che fare con criminali fra i più pericolosi sulla faccia della terra, pluriomicidi, boss del narcotraffico, ecc. Non dimentichiamo che Kamala parlava in Michigan, uno degli Stati in bilico di maggior importanza, nel quale diverse contee si dichiarano Second Amendment Sanctuaries, dedicate cioè alla protezione dei portatori di armi.

Più delicata è la questione se sia lecito sparare a chiunque si intrometta in una casa, negli Usa quasi tutti gli Stati difendono il principio del “mio castello”, cioè permettono di sparare a chi si intrufoli con chiari intenti criminali nelle case, ma appunto i motivi devono essere “chiari”. Se le sue parole hanno fatto scalpore, è anche vero che alcuni commentatori repubblicani le hanno fatto i complimenti, e forse proprio quelle parole potrebbero sciogliere l’incertezza di elettori indipendenti di centro, che magari si convinceranno che la Kamala «marxista, estremista, radicale, comunista, fascista», come la descrive Donald Trump, forse non è poi così estremista.

I sondaggi nazionali danno la vicepresidente e l’ex presidente testa a testa, mentre Harris sembra godere di un minimo vantaggio – troppo risicato per garantirle sonni tranquilli – negli Stati in bilico, cioè Nevada, Arizona, Georgia, North Carolina, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Ieri in alcuni Stati si è già cominciato a votare, per quel fenomeno dell’”early voting”, il voto anticipato, che in quasi tutti gli Stati permette di recarsi alle urne o di spedire la propria scheda elettorale molto prima della data ufficiale del 5 novembre. Si è già cominciato a votare in Alabama, South Dakota, Minnesota e Virginia.

IL CONTEGGIO
Molta attenzione riscuote quest’anno la Georgia, che apre un certo numero di seggi già il 15 ottobre, ma dove si prevede che possano esserci complicazioni. Non va dimenticato che nel 2020 Trump contestò vivamente il risultato a lui contrario e anzi tentò di convincere il segretario elettorale Brad Raffensperger, a «trovargli 11.780 voti», cioè quanti gliene sarebbero serviti per ribaltare il risultato e sconfiggere Joe Biden. Proprio ieri il Consiglio Elettorale dello Stato ha approvato una nuova regola che richiede il conteggio manuale di tutte le schede già contate dalle macchine, una decisione voluta e sostenuta da una maggioranza pro-Trump. Il cambiamento nel conteggio potrebbe ritardare i risultati di settimane o mesi, tanto che i funzionari elettorali di carriera (non di nomina politica cioè) si sono opposti, e hanno insistito che il sistema elettorale della Georgia è perfettamente funzionante e non c’è possibilità di frode, e denunciano che si tratta di un tentativo di minare la fiducia nel processo elettorale, soprattutto in un anno cruciale come il 2024.

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