La campagna elettorale è aperta dappertutto, in Europa, ed era forse inevitabile che non passasse del tutto liscia la missione comune di Meloni e Von der Leyen in Egitto, per tentare di stipulare con Al Sisi un accordo mirato a rallentare le partenze dei migranti, specie adesso che con la buona stagione in arrivo sono destinate a moltiplicarsi, con conseguenze anche disastrose per chi si mette in viaggio in condizioni di assoluta mancanza di sicurezza. Missione alla quale domenica si uniranno il presidente di turno del Consiglio europeo, il belga De Croo, e il premier greco Mitsotakis.
A prenderla di mira sono stati invece il verde Satour, il socialista Bullmann e Melchior di Renew Europe, che in una conferenza stampa hanno chiesto come possano essere giustificati finanziamenti europei al capo di un regime autoritario come Al Sisi, e senza alcuna garanzia sul piano istituzionale e democratico. E specie dopo il simile accordo con Saied in Tunisia, che non ha dato in pratica risultati. Va da sé che le polemiche sono rivolte soprattutto contro la presidente della Commissione europea, e in qualche modo contrassegnano l’incerta partenza della sua ricandidatura, accompagnata da un alto tasso di franchi tiratori nel voto del Ppe per la nuova designazione e da diffuse valutazioni a livello europeo che fanno dubitare del buon esito dell’operazione.
Il tema degli accordi con i regimi dittatoriali della costa settentrionale africana tuttavia non è nuovo. Da un lato, infatti, non esiste alternativa per frenare le partenze che, ad esempio, per quanto riguarda l’Italia, sono state nel 2023 il doppio di quelle del 2022, contribuendo a rendere più drammatico e più complicato da affrontare in un anno pre-elettorale il problema dell’immigrazione clandestina. E mettendo inevitabilmente l’Italia nella scomoda posizione dell’imputato numero uno tra i Paesi membri dell’Unione, dato che una parte consistente dei migranti riescono quasi sempre a scappare per tentare di raggiungere i loro parenti oltre i nostri confini. Nel passato recente l’unico rivelatosi in grado di stipulare accordi produttivi di risultati, quando era al Viminale, è stato l’ex-ministro dell’Interno Minniti. Non a caso preso di mira subito dopo con argomenti simili a quelli mirati ora contro Von der Leyen.