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La Rai e la scelta di Elly

4 ore fa 1
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Una volta era un pensoso cimento che appassionava gli storici, ma oramai sono i media a coltivare un culto febbrile per le date spartiacque, quelle che segnano un prima e un dopo e dunque si capirà presto se anche il 26 settembre 2024 è destinata a diventare una pietra miliare: in questo caso per il Pd, che due giorni fa ha deciso di auto-escludersi dal governo della Rai. Una scelta forte, perché sta fuori dalla storia e dalla cultura di quel partito e di ogni altro partito. Ed è anche una scelta impegnativa: da 49 anni la Rai è «obbligata» da una severa sentenza della Consulta a rispettare il pluralismo, sostanzialmente perché oltre metà delle sue entrate provengono dal canone, pagato dagli italiani di ogni tendenza e dunque tirarsi fuori è una scelta che non si prende a cuor leggero per un partito che alle recenti elezioni Europee è stato votato da un italiano su quattro.

La segretaria del Pd Elly Schlein si è richiamata, «carte» alla mano, ad un precedente accordo che impegnava le forze di opposizione a non partecipare al rinnovo del Cda prima di una «riforma strutturale» capace di restituire indipendenza al servizio pubblico. Ma la maggioranza ha accelerato e davanti al bivio, il Pd ha scelto l’Aventino, mentre Cinque stelle e Avs hanno votato i propri rappresentanti nel Cda Rai. Invocando il diritto di «vigilare» sulle scelte, senza lasciare l’azienda «totalmente in mano alla maggioranza». Le prima ragione che ha spinto Elly Schlein a restare coerente con gli impegni presi non è dichiarabile apertamente, ma la segretaria la fece intuire durante il primo duello parlamentare con Giorgia Meloni.

Era il 15 marzo 2023 e alla presidente del Consiglio che ricordava l’incoerenza del Pd in materia salariale, la segretaria Dem aveva risposto: «Ora ci sono io all’opposizione». Come dire: il passato non conta, ora il Pd sono io. Se dimenticare il Pd del passato (anche in Rai) è una delle mission della nuova leader, l’altra è quella di preservare la propria purezza. Anche rispetto ad alleati che si descrivono come più duri e puri, ma poi cedono alle «tentazioni». Il Pd si chiama fuori anche per perché oramai considera irrecuperabile «Telemeloni».

Una lettura che può sottovalutare le tante «isole» di buona informazione che pur esistono in Rai e finisce per dimenticare la migliore lezione che una sinistra di opposizione abbia offerto nel suo rapporto con la Rai. Era il 1987, il Pci si trovava all’opposizione da ben 40 anni e allora un accordo politico con Dc e Psi consentì l’accesso dei comunisti a due direzioni ininfluenti: Tg3 e RaiTre. Dunque, il Pci partì dal nulla e in pochi anni, grazie alla direzione di un intellettuale come Angelo Guglielmi – che incoraggiò trasmissioni innovative – Raitre decuplicò gli ascolti: dall’1 al 10 per cento. Il Pci si presentò all’appuntamento con un’idea di televisione e la qualità dell’offerta per tutto il pubblico televisivo migliorò. In questi ultimi anni tutti i partiti di opposizione approdati al governo, hanno rinunciato a proporre una propria idea di servizio pubblico e certo il Pd di Schlein non può farsi carico di così prolungata ignavia progettuale. Ma abbandonare il campo non è detto che porti consenso.

Resta vivo un pensiero che Ennio Flaiano espresse quando la tv era ancora ai primi anni di vita: «Fra 30 anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione».

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