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Daniele Capezzone 31 dicembre 2024
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Senza tregua (giusto il tempo di smaltire il capitone fritto), il 2025 riprenderà pari pari da dove stasera avremo lasciato un esausto e ormai sfinito 2024: e cioè con una specie di “X Factor” permanente tra gli intellettuali di sinistra, una gara senza esclusione di colpi tra i migliori cervelli del progressismo nazionale per aggiudicarsi il ruolo di GR (Grande Resistente), di CP (Capo Partigiano) nel cupo ATEM (Anno Terzo dell’Era Meloni). Alcuni – i meno svegli – ci credono davvero o almeno si sono autoconvinti del logoro copione da recitare. Altri – meno guru e più paraguru – hanno capito perfettamente il gioco e l’hanno trasformato in un mercatino ultraredditizio aperto tutto l’anno.
Il campione indiscusso del 2024 – ammettiamolo – è stato Antonio Scurati, che ormai è entrato nella leggenda. Per favore, in un’eventuale giornata di malinconia riguardate al moviolone la scena madre di Scurati, qualche mese fa, alla kermesse di Repubblica. Outfit scuro, a suo modo sacerdotale. Viso scavato. Occhio spiritato. Toni altamente drammatici: «Arriva la paura. Esci di casa e guardi a destra e sinistra. Mi hanno disegnato un bersaglio in faccia». Ed è stata subito standing ovation. A seguire, in tutta Italia, è venuta naturale la liturgia della lettura del TSS (testo sacro scuratiano): nelle fiere di paese, ai matrimoni, ai funerali, ovviamente in occasione del 25 aprile. Ecco, quest’anno Scurati dovrà difendere il titolo dagli assalti del GI (Grande Impallato) del 2024, il martire al quale proprio Scurati ha tolto la luce delle telecamere: uno sbracciante e agitatissimo Roberto Saviano. Immaginateli in una lotta epica per contendersi il ruolo da novello Matteotti o da terzo fratello Rosselli.
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Del resto, il meccanismo è collaudatissimo, e vale anche – le iscrizioni al talent show sono ufficialmente aperte – per eventuali titolari di trasmissioni televisive dall’audience traballante o per qualche personalità finita nel cono d’ombra. Basta travestirsi da “vittime del regime” per ritrovarsi magicamente al centro del palco, con i faretti delle luci che li illuminano a giorno. Segue a ruota un copione sempre uguale a se stesso: l’eroe (o l’eroina) è portato in processione come una madonna (laica) pellegrina, è premiato dall’Anpi, è ospitato da Fabio Fazio, e infine – dopo tutte queste sofferenze – firma nuovi sontuosi contratti televisivi. Ovviamente continuando a frignare.
E così la fabbrichetta dei martiri è sempre operativa, non chiude mai, e procede con lo stesso protocollo sistematicamente applicato e rigorosamente uguale a se stesso. Si comincia con il racconto della presunta violenza commessa dall’orrida destra. Si prosegue con una batteria di comunicati vergati dai dichiaratori seriali e compulsivi della sinistra: di solito i primi a tagliare il traguardo della nota Ansa più rapida e lamentosa sono gli ineffabili Bonelli-Fratoianni-Magi.
E così, complice non di rado l’ingenuità della destra (politica e televisiva), ogni settimana c’è un nuovo santo da portare sugli altari. Sono canonizzazioni-lampo, senza neanche bisogno di passare attraverso la tappa intermedia della beatificazione. E questi nuovi santi, queste figurine di culto, godono da matti, non stanno più nella pelle. È uno spettacolo unico: un mix di vittimismo ed esibizionismo, di chiagni e fotti, di ritrosia proclamata e di auto-ostensione praticata. Dite: sono tutti matti? No, per niente, neanche per idea. Nelle esibizioni degli attuali vipponi mediatici di sinistra non c’è alcuna follia. Al contrario, c’è un furbissimo e lucidissimo calcolo: ottengo visibilità, mi colloco al centro della scena, non mi mancheranno le comparsate tv e i palchi da calcare, e se per caso qualcuno a destra sarà così ingenuo o tonto da commettere un ulteriore fallo di reazione, il mio alone di martirio sarà reso indelebile, incancellabile, perpetuo.
Ecco, questo collaudato format giova moltissimo a direttoroni-editorialistoni-scrittoroni dall’ego extralarge. A pensarci bene, è proprio questa la vera casta della sinistra, anzi una supercasta di mandarini mediatici potentissimi, di vacche sacre inviolabili: una Suprema Cupola Politicamente Corretta che fa e disfa, giudica e disprezza, si erge a tribunale storico e a laboratorio di analisi della purezza etica. Non ne azzeccano una ma continuano a pontificare, cumulando direzioni-trasmissioni-incarichi-tribune. Eppure frignano e si lagnano, levano alti lai, piangono sulla democrazia in pericolo. La vittoria di Giorgia Meloni li ha intristiti e incattiviti, tra crisi isteriche e ambizione di dettare la linea all’opposizione.
La quale, politicamente e culturalmente fragile, ha il torto di dar retta a queste voci, di subirne il fascino, addirittura di appaltare a questi intellettuali (veri, aspiranti o wannabe) la definizione della linea o – cosa ancora più decisiva e delicata – quella dei toni da utilizzare.
Risultato? Un clamoroso paradosso: bene o male, infatti, i protagonisti della sinistra politica sono esposti prima o poi a un giudizio, a una “sanzione” (elettorale o almeno di immagine), mentre questi maestrini della comunicazione e della cultura sono sempre lì, vanitosi e prepotenti, schieratissimi e sgomitanti, pressoché regolarmente untouchable. Pronti a resistere, e, nelle pause, a fatturare.