ARTICLE AD BOX
Il prologo c’è stato a Roma nella notte di Capodanno: finiti tutti i vari concerti ed eventi, spento pure l’ultimo fuoco d’artificio, bevuto l’ultimo bicchiere, non c’era un taxi che fosse uno per le strade di Roma. Però le auto di Uber (e altre app simili) si riuscivano a trovare.
A Roma, poco più di metà dei taxi presta servizio ufficiale anche come Uber. Dell’altra metà, difficile capire quanti siano i conducenti che, sfruttando una sentenza della corte di giustizia dell’Unione Europea, prendono le prenotazioni delle corse dalle app come appunto Uber (che non è la sola). E il Comune che non ha strumenti per poter controllare in alcun modo il fenomeno. Andiamo per ordine.
I NUMERI
Nella Capitale ci sono circa 7.800 licenze taxi. Di queste, poco meno della metà, 3.800 circa, sono aderenti alla piattaforma del 3570 che ha chiuso un accordo con Uber. Un tassista può prendere una corsa al volo in strada, nei parcheggi appositi come quelli nelle stazioni ferroviarie o negli aeroporti, tramite telefono e app. Parliamo di corsa taxi. Ma, in virtù dell’accordo con Uber, può prenderla anche direttamente dall’app della stessa Uber. Non è consentito a un tassista di rifiutare una corsa: se lo fa e i vigili lo scoprono, rischia una multa e la sospensione della licenza. Però, spiegano dal Campidoglio, se la richiesta della corsa non avviene in piazza o in strada ma tramite app, non ci sarà nessuno che potrà denunciare. L’utente che ha prenotato la corsa si vedrà recapitare i messaggi, più o meno testuali, “spiacenti, non è possibile trovare auto” oppure “causa intenso traffico la corsa è stata cancellata”.
SCELTA
Dal Campidoglio spiegano: la ricezione delle prenotazione delle corse dalle app, però, consente al conducente di selezionare quella più conveniente. Ad esempio, fra una corsa dal centro a Fiumicino aeroporto e una dal centro a Castel Giubileo, periferia nord, o Tor Bella Monaca, periferia est, quasi certamente il conducente sceglierà la prima. Sa che tanto, al ritorno, potrà caricare qualche passeggero sceso dagli aerei. A Castel Giubileo, invece, o a Tor Bella Monaca la possibilità di ritornare verso il centro con un altro passeggero è decisamente scarsa. Aggiungiamo che il traffico e i cantieri di Roma non aiutano certo le auto bianche che restano incolonnate dietro i bus, i tram o le altre auto private.
ROMANI VS TURISTI
La questione, quindi, ridotta all’osso diventa una specie di confronto fra romani e turisti: un turista a Tor Bella Monaca o a Castel Giubileo non ci andrà di certo come prima scelta. Il risultato, perciò, diventa facile da capire: il romano rischia di essere penalizzato rispetto al turista se non altro per le mete che quest’ultimo sceglie e che offrono al conducente la possibilità di tornare indietro con la vettura piena. Con ripercussioni anche sui costi.
REGOLE
Il nodo, per il Campidoglio, è legato alle regole. Ad esempio, spiegano, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito l’illegittimità della clausola di esclusiva delle piattaforme taxi. In pratica, fino a qualche anno fa, un tassista iscritto al 3570 (solo per citare la piattaforma più famosa nella Capitale) poteva prendere corse solo da quella piattaforma. Dopo la Corte di Giustizia, invece, può prenderle anche dalle app, come Uber e le sue consorelle. Aprendo, di fatto, il mercato in modo semilibero. La somma finale è che le mille nuove licenze che, a giorni, arriveranno a Roma a rimpinguare il numero delle auto bianche non saranno mai sufficienti se, durante il turno, un tassista troverà più conveniente la corsa per l’aeroporto prenotata via Uber da un turista invece che quella per Tor Bella Monaca prenotata via app da un romano. Per questo, dal Campidoglio, la richiesta è che il Governo dia ai Comuni gli strumenti per poter controllare o dirigere il fenomeno.