Nessuna parola cade a caso, all’indomani di un faticoso accordo nel centrosinistra per le Regionali in Basilicata, mentre dai social network Carlo Calenda dichiara di sentirsi escluso e tradito, e già nel Pd guardano all’obiettivo Piemonte sapendo che lì un’alleanza larga assomiglia a un miraggio. Non può essere casuale l’insistenza con cui, alla presentazione del libro Capocrazia di Michele Ainis, presente il leader M5S Giuseppe Conte, Romano Prodi, l’uomo dell’unità del centrosinistra, l’unico capace di battere due volte Silvio Berlusconi quando sembrava invincibile, parla di stare assieme, fare le riforme assieme, lavorare assieme. Tanto non è casuale che porta alla conclusione naturale: «Se volete vincere, mettetevi d’accordo. Se volete perdere, continuate così». Un consiglio che va in scia delle dichiarazioni dei giorni scorsi, l’esigenza per il centrosinistra di costruire una coalizione, un’alternativa di governo, la necessità di «tanti contadini» per arare un campo largo che porti frutto. La soluzione è «nel cervello di Conte», come a dire: sei tu che devi prendere una decisione, solo tu puoi credere in questa possibilità.
Ma non sono casuali nemmeno gli argomenti e i richiami di Conte. Ancora prima di denunciare tutte le sue titubanze sull’alleanza di centrosinistra, «se non c’è coerenza nel progetto, allargare il campo per una sommatoria politica non funziona», o di definire «non negoziabili» le sue posizioni sul tema più divisivo, la guerra in Ucraina, già ha preso le distanze sulla legge elettorale: il Movimento è per una proporzionale con preferenze. Come per le Europee, per capirci: ognuno corre per sé, nessuna alleanza prima del voto, basta estenuanti tavoli di trattative pre-elezioni. A quel pezzo di elettorato che ancora si può definire grillino, inteso come la fase di protesta e rabbia degli inizi, ecco si può dire che si continua come ai vecchi tempi ad allearsi con nessuno.
Non c’è nulla di casuale nelle parole dell’uno e dell’altro perché confermano come la distanza resta siderale, tra le prediche del padre nobile del Pd – e l’interpretazione della segretaria Elly Schlein, «proseguo sulla strada dell’unità» – e la riottosità del presidente del Movimento. Che non ha torto, quando denuncia i «cannoneggiamenti» di Calenda contro di lui durante la campagna elettorale in Abruzzo, ma dimentica la sua scortesia nel fingere pubblicamente di non essere alleati. E dimentica forse di aver chiesto e ottenuto la candidatura di Alessandra Todde in Sardegna, di aver messo un veto sul candidato in Basilicata e averla spuntata, nonostante la logica dei voti nei territori in cui si è votato premino più i dem – tanto che qualcuno, non solo da Azione ma anche nel Pd, ritiene gli venga concesso troppo.
Risolto a metà il rebus Basilicata – lasciare sul campo l’ira di Calenda e del suo luogotenente Marcello Pittella, ex governatore che ancora gode di consenso, non è stata forse una mossa astuta – la strada verso il Piemonte si fa ancora più ripida. Lì antiche scorie inquinano rapporti e trattative. Ma separati, davanti a una destra capace di fare fronte comune, è davvero una battaglia senza speranze. E se lo dice Prodi, che pure di fuoco amico ne sa qualcosa…