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Marco Borriello: «Ranieri è l'ideale, ma alla Roma serve De Rossi. Mio padre ucciso dalla camorra. Il gossip? Mi ha anche penalizzato»

17 ore fa 2
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Marco Borriello, un po’ Milan, un po’ Roma. Un po’ tutto. Una vita piena di gol, di persone, di città. Oggi si sente un uomo libero, senza l’ossessione per il calcio e senza una fissa dimora. «Non è scritto da nessuna parte che uno debba avere un solo posto dove vivere. Io ho tanti luoghi del cuore».

Ad esempio?

«Napoli e dintorni, vicino Cassino, a Valvori, dove ho vissuto la mia infanzia, lì c’è la mamma e il cimitero di papà. Poi la vita mi ha portato altrove, e mi sono sempre adattato».

Che fa oggi?

«Vedo gente, faccio cose».

E il calcio?

«Non sono legato a nessuno. Procaccio affari».

Ad esempio?

«Ho segnalato Zaniolo all’Atalanta, a Gasperini. Non sono un agente, nemmeno mi piace esserlo. Do una mano. Cerco di portare le mie esperienze, anche nell’Ibiza».

E nel futuro?

«Penso di tornare nella mia città, mi è stato proposto un progetto per i bambini per la scuola calcio del mio quartiere. Più un’iniziativa sociale, che non calcistica».

Legarsi a una società, no?

«Meglio la libertà che uno stipendio».

Che ne pensa del calcio di oggi?

«Quando ho cominciato io c’era più passione, non si giocava per i soldi, il calcio era un qualcosa che ti faceva sbucciare le ginocchia, spaccare la testa. Poi pian piano si è trasformato in un business. Per buona parte della carriera mi spostavano da una squadra all’altra e sono diventato cinico anche io. La passione è diventata lavoro. Oggi si è tutto moltiplicato. Oggi il trasporto che aveva uno come Gattuso non ce l’ha nessuno. Non ci sono bandiere, i calciatori sono aziende. Si è perso l’amore, che è diventato solo affare. E’ un gioco in cui i procuratori spostano giocatori e aumentano i guadagni: è il loro lavoro, ci sta. Tutto questo ferisce i tifosi, che non fanno in tempo a innamorarsi dei giocatori. Le storie come quella di Totti e Maldini non le raccontano più».

Le società di oggi certe bandiere non le chiamano più nemmeno dopo che hanno appeso gli scarpini al chiodo.

«Io li farei sempre stare dentro le società, per il loro valore. Ma personalità cosi forti vorrebbero decidere, e i proprietari non te le permettono, giustamente. L’unico che decide il 99 per cento delle cose è Gasperini».

Bella storia l’Atalanta.

«Davvero meravigliosa».

Poteva essere bella anche la Roma di De Rossi?

«Dispiace per quello che è accaduto, Daniele è un mio amico. Ma quando ti metti in discussione, certe disavventure possono accadere. Magari sono stati sbagliati i modi e i tempi, ma certe cose le devi mettere in conto. I proprietari americani evidentemente avevano strategie differenti, che io non ho ben capito».

Roma come si incastra nella sua vita?

«Un luogo di passaggio, come Milano. E’ una città che ho amato, ci vengo spesso».

Da un punto di vista calcistico poteva andare meglio?

«Sono arrivato con la famiglia Sensi e le cose andavano bene, 17 gol in pochi mesi. Poi con gli americani, Sabatini e il progetto, anzi, Er progetto, è cambiato tutto. Ma non era chiaro quale fosse realmente. Ero titolare, mi hanno messo davanti chiunque».

Come in quella famosa partita in Coppa Uefa.

«In panchina con Totti, giocarono Okaka e Caprari. Sabatini disse che Francesco era il «sole sui tetti di Roma», io «un problema» e allora cominciai a cercarmi squadra».

A Milano segnò lei la rete della vittoria: dicembre 2010, c’era Ranieri in panchina.

«Fu un gioco del destino. Io volevo stare al Milan, e qualcuno doveva pagare: segnai proprio di stinco, un rimpallo».

Con Ranieri come si trovava?

«E’ un uomo che si fa volere bene. Uno all’antica, serio, lo vedo bene come coordinatore tecnico. In futuro sogno per la Roma un ritorno di De Rossi con lui dirigente, perché è uno che sa sempre cosa fare, anche come usare il linguaggio».

Che rapporto aveva con lui?

«Mi stimolava. Io dopo le partite se mi ammorbidivo, mi urlava “non devi essere appagato”».

Il Milan?

«Ha ottimi giocatori. Non penso sia amalgamata bene, non è squadra. Manca l’anima che ha il Napoli».

È più avanti anche l’Atalanta?

«Napoli, Atalanta, Inter e pure la Juve. Motta sta facendo un ottimo lavoro».

Vlahovic non basta, forse?

«Forse non è adatto, pur essendo un signor giocatore. Per quel tipo di calcio forse c’è bisogno più di uno come Zirkzee».

Il livello degli attaccanti che giocano in Italia si è abbassato, non trova?

«Da Retegui a Vlahovic a Laurtaro, sono tutti bravi, forse non ci sono quei fuoriclasse alla Batistuta, Weah, Del Piero, Trezeguet, Vieri, Sheva».

Dovbyk?

«È bravo, forse gli manca un po’ di malizia».

Ha vissuto nel Milan di Berlusconi, che ha creato un senso di appartenenza forte con la città e i tifosi, che ne pensa delle proprietà straniere?

«Stanno provando a cambiare l’identità del calcio. Per loro è uno show, per noi una religione. Magari con le nuove generazioni cambierà tutto, i ragazzi guardano meno le partite. Sono un romantico, amo l’epoca in cui ho vissuto, io non mi sono mai stancato a guardare una partita di calcio. Oggi è tutto più virtuale, c’è più business che passione».

Borriello e il gossip?

«A volte mi ha giovato, ma mi ha anche penalizzato. Non ho mai rilasciato interviste a giornali di gossip, sono uno discreto. Era solo un’etichetta, la verità si è scoperta nel tempo. Nessuno oggi parla di me e vivo una vita serena. Del gossip non mi è mai fregato niente».

Cassano, Vieri, erano restii a interviste e oggi stanno in tv.

«E oggi fanno le copertine con le mogli, tra l’altro parliamo di un amico come Antonio, che mi chiamava “Novella 2000”. Ma fanno bene, sono simpatici».

Anche la storia della morte di suo padre, ucciso dalla camorra: non ne ha mai parlato da giocatore, ma solo in seguito.

«Non mi piace essere commiserato».

Ma c’è stata una figura paterna che ha sostituito suo padre?

«Alfonso Manganelli e Pasquale Miele, che avevo nella scuola calcio. Poi mio zio Eduardo».

E nel calcio chi sono stati i suoi padri?

«Ariedo Braida ed Enrico Preziosi. Poi Gasperini è quello che mi ha dato la spinta tecnica».

Il compagno più forte?

«Paolo Maldini, giocatore totale. Poi è chiaro sono stato al fianco di tanti calciatori forti. Ho giocato con sei Palloni d’Oro, Rivaldo, Ronaldo, Sheva, Kakà, Ronaldinho e Cannavaro. In più Buffon, Del Piero e Totti, Palloni d’Oro ad honorem. Posso essere soddisfatto. Sono stato un calciatore importate per le piccole e un soldato per le grandi».

Oggi quanti gol farebbe?

«Non lo so. E’ vero che il livello tecnico si è abbassato, ma fisicamente è migliorato. Provi lei a farsi marcare da uno alto un metro e novanta...».

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