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Meloni: «Musk non è un pericolo. Ricandidarmi? Vediamo. Se riesco andrò da Trump». Ed esclude il rimpasto

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Difende Elon Musk, «non è un pericolo per la democrazia» e poi le vere ingerenze «sono quelle di Soros». Spiega che no, Donald Trump non è una scheggia impazzita, non «lascerà l’Ucraina al suo destino» e non vuole davvero invadere la Groenlandia. Potrebbe fargli una visita di cortesia all’Inauguration Day del 20 gennaio: «Sono stata invitata, mi farebbe piacere esserci, valuterò a seconda dell’agenda». Avvisa Matteo Salvini: il Viminale per il leader della Lega «non è all’ordine del giorno» proprio come un rimpasto di governo, «tendenzialmente non sono a favore». Giorgia Meloni entra nella sala dei gruppi alla Camera a mento in su. La conferenza stampa di inizio anno - tre ore e mezzo, quaranta domande - casca nel day after della liberazione di Cecilia Sala dal carcere di Evin a Teheran. «Una bella giornata per l’Italia intera».

Parte da qui la premier, al suo fianco il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli e quello della Stampa parlamentare Adalberto Signore, racconta che in due anni nella stanza dei bottoni non ha mai provato «emozione più grande» della telefonata di due giorni fa con Elisabetta Vernoni, la mamma di Cecilia, per dirle: la portiamo a casa. È un fiume in piena Meloni. Si compiace solo di aver battuto quest’anno i tempi record di Mario Draghi, noto per le risposte caustiche e concise ai cronisti, «sono brava?». Si irrita invece con chi lamenta che le occasioni di confronto con la stampa non sono frequenti, ultimamente. Segue un caleidoscopio su Palazzo Chigi, i crucci e le incombenze del centrodestra. Gli affari di casa: il premierato, l’autonomia e la giustizia, le regionali in Veneto, la roccaforte leghista che Meloni prenota per il suo partito, «penso che l’opzione di Fratelli d’Italia debba essere tenuta in considerazione».

Meloni, cosa ha detto oggi? Dal no a Salvini Trump e Musk, ecco la fase due (che guarda a Washington)

IL CERCHIO MAGICO

Qui e lì, riflessioni e sfoghi sul cerchio magico della leader, l’inseparabile sorella Arianna nel mirino se non di «un complotto» di «una strategia nell’addebitarle cose false» o della «cialtroneria» di chi vuole gettare addosso a lei e alla sua famiglia «fango politico». E poi il futuro. Ricandidarsi nel 2027? «Non lo so. Questo è un lavoro faticoso, faticosissimo, è una decisione che prenderò quando la devo prendere, anche valutando i risultati». Ma è la diplomazia a far la parte del leone nella maratona di domande, e non potrebbe essere altrimenti visto il Sala-gate che ha ancora dei rebus.

Cosa sarà di Mohammed Abedini, “l’uomo dei droni” iraniano in carcere a Milano, pedina di scambio con gli ayatollah? Cautela massima, «la questione è al vaglio del ministero della Giustizia» accenna la premier davanti al Guardasigilli Carlo Nordio, sua la mano che potrà firmare il no all’estradizione di Abedini la prossima settimana, c’è anche Alfredo Mantovano che Meloni ringrazia insieme all’intelligence per la mission impossible andata in porto, frutto di «una triangolazione complessa con Stati Uniti e Iran». È stata la mano di Trump? Il presidente con cui Meloni immagina «un rapporto solido, non so se dire privilegiato». Sul punto glissa la premier, sembra anzi sminuire il blitz a Mar-a-Lago di sabato scorso che pure ha sembra aver sbloccato l’impasse con gli iraniani. Trump e Musk. Oscilla qui in mezzo il pendolo americano della presidente del Consiglio. Il nome del miliardario sudafricano patron di Tesla e Space X è quasi una goccia cinese durante l’interminabile botta e risposta con la stampa. Sei domande. Un chiodo fisso, a riprova che i rapporti personali intessuti con “Elon” da Meloni sono ormai un fatto politico, non solo in Italia. Si parte dal caso più scottante, il contratto di Starlink da un miliardo e mezzo all’attenzione del governo italiano. Meloni taglia corto. La firma non c’è, «siamo nella fase istruttoria» e comunque «non faccio favori agli amici» e «non ho mai parlato personalmente di queste vicende con Musk, ma non accetto di attaccargli una lettera scarlatta solo perché ha buoni rapporti con me». Poi apre: «Si tratta di mettere in sicurezza alcune comunicazioni sensibili e delicate, parlando con il soggetto tecnologicamente più avanzato per questo lavoro, perché non ci sono alternative pubbliche». Scherma l’imprenditore dalle accuse di ingerenze: «Persone facoltose usano le risorse per finanziare partiti e associazioni per condizionare le politiche, come nel caso di Soros» replica puntuta Meloni disegnando un mirino sulla fronte del finanziere ungherese, vera nemesi dei partiti di destra di mezzo mondo.«Sconfitto!» twitta Musk soddisfatto sulla sua piattaforma. Il problema, riparte lei, «è quando queste persone usano le risorse per finanziare in mezzo mondo partiti e associazioni per condizionare le politiche, cosa che non mi risulta faccia Musk al contrario di Soros. Questa sì la considero una pericolosa ingerenza». Basta e avanza per attirarsi le critiche delle opposizioni. «Uno show», una «conferenza propaganda» la incalza il Pd ed ecco la stoccata di Elly Schlein: «Giorgia Meloni ha completamente dimenticato le condizioni di vita degli italiani», arriva subito dopo il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte: «Alta l'attenzione per i propri amichetti dimenticando i cittadini comuni».

IL PONTE CON TRUMP

Meloni tira dritto nella sua elegia americana e passa a Trump. Fa scudo al prossimo inquilino della Casa Bianca, già nell’occhio del ciclone per le boutades sulla Groenlandia, «valutiamo l’uso della forza», le mire su Panama. «Mi sento di escludere che gli Stati Uniti nei prossimi anni tenteranno l’annessione», minimizza la prima alleata italiana, convinta che si tratti «di messaggi ad alcuni grandi player globali» come la Cina. Se non è una difesa di ufficio, ci assomiglia. Quasi la leader di Fratelli d’Italia si offrisse di tradurre e interpretare il pensiero Trump. Niente panico allora. Sicché sorvola su un’altra minaccia del leader Usa: alzare al 5 per cento del Pil la spesa nella Difesa, una chimera per l’Ue e di certo per l’Italia . Di tanto in tanto la premier si aggiusta la giacca bianca. Santanché dovrà dimettersi se rinviata a giudizio? «Vediamo cosa deciderà la magistratura, non sono la persona che giudica queste cose prima che accadano». Salvini al Viminale? «Sarebbe un ottimo ministro dell’Interno ma non è nell’ordine delle cose, abbiamo un ottimo ministro, Piantedosi». Pier Silvio Berlusconi in campo? «Abbiamo buoni rapporti, chiedete a lui..ma siamo pronti a parlarne». E ancora: il Quirinale è la guida delle opposizioni come ha detto la deputata di FdI Ylenja Lucaselli? «No, non sono d’accordo». Mimica composta, sferra colpi, alcuni preparati. Ci teneva a dire la sua su Matteo Renzi e la norma ad hoc che vieta finanziamenti esteri ai parlamentari: «Chi ha fatto lo stesso ha avuto la buona creanza di lasciare il Parlamento» .

Viene da lontano pure l’affondo contro Ernesto Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate che un pezzo di democratici volevano in politica: «Un’operazione immaginata per creare problemi ma non a questa leader...» punge “Elly”. Un solo vero siparietto. «Lei calpesta le formiche, ci fa caso quando cammina?» le chiede il direttore dell’Agenzia Vista Jakhnagiev . Silenzio, risate, Meloni sgrana gli occhi: «Se le vedo, non le calpesto, spero sia la risposta giusta, sono disperata, non so che dire..». Dal plotone di domande c’è chi calca la mano sulle ombre del passato. Vedrà la serie M su Mussolini in tv, ha letto i libri di Scurati? «Non vedo una serie televisiva da due anni, tranne il Caso Elisa Claps, non leggo un libro se non il Pnrr». E sulla sede storica dell’Msi ad Acca Larentia acquistata dall’omonima associazione, guidata da un esponente di CasaPound, la timoniera di FdI taglia corto: «Non me ne sono occupata, chiaramente sono contenta che una sede così storica non sia diventata un fast-food». Quaranta domande. Anzi no, quarantuno. «E i 45mila morti di Gaza?» grida un operatore quando la premier si sta alzando. Meloni sospira. Si ferma. «Siamo tra quelli che hanno fatto di più per quella popolazione».

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