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Migranti, stop trattenimenti in Albania: liberi in 43. Meloni: «Io lavoro, altri smontano». Attesa per la Corte Ue

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Un altro no. Il terzo. Quello tra governo e toghe sull’Albania ormai è un muro contro muro. Con l’esecutivo che accoglie con «grande stupore» la decisione della corte d’appello di Roma ma resta determinato ad «andare avanti» sul modello dei trasferimenti nei due centri di Shegjin e Gjader. E i giudici che, per la terza volta, scelgono di disapplicare il decreto sui “Paesi sicuri” e non convalidano il trattenimento dei migranti in territorio di Tirana, rimandandoli in Italia. Uno «sconcerto», quella della maggioranza, che si spiega col fatto che stavolta il governo riteneva di avere dalla sua la pronuncia della Cassazione dello scorso dicembre. Secondo la quale spetta ai ministri – e non ai magistrati – stabilire in via generale quali Paesi possano essere considerati sicuri e quali no (fatta salva però la possibilità delle toghe di valutare caso per caso). Previsione che, secondo una lettura ottimistica, avrebbe dovuto aprire la strada alle procedure di rimpatrio accelerate per cui erano stati pensati i due centri albanesi.

Ma al netto delle reazioni di sorpresa per la «nuova invasione di campo» e la «resistenza della magistratura» verso le misure del governo, un nuovo no ai trattenimenti era uno scenario che in molti si immaginavano, tra Palazzo Chigi e i ministeri coinvolti nell’operazione Albania, a cominciare da Viminale, Farnesina e via Arenula. Un po’ perché la convinzione è che una parola definitiva sull’intricata vicenda del decreto Paesi sicuri potrà pronunciarla solo la Corte di giustizia europea, che si esprimerà il 25 febbraio. E che – è l’auspicio della maggioranza – potrà finalmente far andare a regime il progetto dei centri: siamo «al lavoro per superare anche questo ostacolo», fanno sapere in serata fonti di Palazzo Chigi. Un po’ perché la premier, descritta come fortemente irritata dal nuovo stop, resta convinta che mentre il governo lavora e cerca soluzioni, c’è chi quelle soluzioni si ingegna per smontarle. In particolare tra le toghe.

IL CLIMA

Un concetto che Meloni ribadisce con un post sulle sue pagine social, per festeggiare il più 0,5 per cento nei sondaggi di cui l’ultima Supermedia Youtrend accredita Fratelli d’Italia. «Nonostante gli attacchi gratuiti quotidiani e i tentativi di destabilizzare il governo, il sostegno degli italiani rimane solido», esulta la leader di FdI. «E questo significa una cosa sola: il lavoro che stiamo facendo è quello giusto».

Quel che è certo è che la pronuncia della corte d’appello di Roma – i cui magistrati, viene fatto notare in ambienti di governo, sono in sostanza gli stessi della sezione immigrazione del tribunale che già avevano negato i trattenimenti in passato – arriva in un clima che non potrebbe essere più arroventato, tra toghe ed esecutivo. Con la premier convinta che la scelta di indagare lei e altri tre membri del governo per la vicenda Almasri fosse tutt’altro che «dovuta», come ha sostenuto la procura di Roma. E che dunque da una parte della magistratura sia in atto una sorta di boicottaggio sull’operato dell’esecutivo.

Lo stesso starebbe avvenendo sul fronte Albania. Ma «il centrodestra guidato da FdI – avverte il meloniano Galeazzo Bignami – non si lascerà intimidire» da questi «pretesti giudiziari». E pazienza se le opposizioni continuano a martellare sul «flop» dei due centri. «Funzioneranno», scandì la premier da Atreju qualche settimana fa. Ne è ancora convinta. Se non accadrà con la sentenza della Corte di Lussemburgo, una mano potrebbe arrivare dalla commissione di Ursula von der Leyen. Decisa a stabilire a livello europeo criteri per la definizione di Paese sicuro prima dell’entrata in vigore del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Chissà che non sia Bruxelles, a salvare il modello Tirana.

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