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«Per spiegare certe cose le parole non bastano mai. Ce l'hai insegnato tu. E allora preferiamo salutarti con un'immagine che hai scattato per noi tanti anni fa, nel 1989. Ciao Oliviero. Continua a sognare». Così ieri, a fare da didascalia alla foto di un pugno che stringe un mazzo di fiori, il Gruppo Benetton sui social ha voluto ricordare Oliviero Toscani, che negli Anni Ottanta e Novanta ha firmato le campagne United Colors of Benetton, trasformando ogni manifesto in un "caso" di cui parlare, a volte discutere. «È stato una forza creativa che ha cambiato per sempre il ruolo della pubblicità nel dibattito pubblico», si legge poi, a corredo di una selezione di immagini delle campagne divenute iconiche.
L'inclusione
È il 1982 quando Toscani realizza la prima campagna per il Gruppo. L'immagine è inusitata per la pubblicità, specie per la moda: alcuni ragazzi di etnie diverse ridono e si stringono per entrare nell'inquadratura, come se fosse un gioco, una sfida, quasi una festa. Sulle spalle del più alto, un bambino, per guidare sguardo - e riflessione - verso il futuro. Poi, lo slogan: "Tutti i colori del mondo". I protagonisti sono tutti giovani e belli, sì, ma non secondo canoni e stereotipi da rivista patinata, bensì perché i volti sono accesi di allegria. È la felicità dell'incontro ad essere immortalata da Toscani e non è questione di un momento ma di filosofia. I modelli indossano maglioni dai colori accesi con motivi geometrici tipici del brand, ma ad essere in primo piano, più dei capi, è un messaggio preciso. Toscani usa quello scatto per parlare di uguaglianza e dire no al razzismo. I manifesti in strada catturano lo sguardo. La gente si ferma a guardarli, sorpresa da quel nuovo modo di fare pubblicità che non è concepito per proporre prodotti, non solo almeno, ma per porre quesiti profondi. Al singolo e alla collettività. È uno choc. Ed è soltanto la prima di una serie di campagne che Toscani realizza per Benetton, raccontando il Paese, evidenziando le sue debolezze e i molti temi da affrontare, culturalmente, politicamente, socialmente. Toscani «ha rivoluzionato il mondo e il linguaggio della fotografia», sottolinea il fotografo Settimio Benedusi, suo carissimo amico. «Prima di Oliviero erano solo belle modelle, dei manichini con vestiti addosso e basta. Lui ha usato la moda per raccontare un'etica, una morale, come faceva con la pubblicità». La battaglia contro il razzismo sarà uno dei temi ricorrenti, ma ci saranno anche la guerra, la pena di morte, l'Aids e molto altro. «Il suo scatto iconico, per me, è quello per Benetton in cui si vede la mano di un bimbo con alcuni chicchi di riso nel palmo. È un'immagine semplicissima, quasi banale, ma come tutte le cose semplici, complessa da realizzare e dice tantissimo». In uno sguardo.
La lezione
«Per un fotografo di moda prendere una bella modella e creare l'immagine di un sogno sarebbe stato molto più facile, ma Oliviero non cercava consenso. Nel suo studio, aveva attaccato una scritta: "Quando vedo che qualcuno è d'accordo con me, mi preoccupo di dove ho sbagliato". Su wikipedia è definito anche politico, fa sorridere ma in fondo è politica, nel senso più largo del termine, quella che ha fatto con i suoi scatti». Di ogni foto ha fatto uno strumento di "lotta" per sollecitare un cambio di sguardo - e passo - culturale e sociale. «Era una persona molto generosa e coraggiosa. Sempre. Ha affrontato con coraggio anche la malattia. Era tanto che non stava bene, camminava male ma non si capiva perché. Poi è arrivata la diagnosi. Siamo stati noi amici a convincerlo a sottoporsi alla cura sperimentale. Ho parlato con lui l'ultima volta la settimana scorsa, pareva normale, era pieno di energia, abbiamo chiacchierato di fotografia, aveva tantissima voglia di fare. Era fatto così. Se fosse qui, adesso, sano, e gli dicessi "andiamo in Guatemala", partirebbe subito. Ripeteva che Andy Warhol non aveva mai detto "no", lui faceva lo stesso». Il racconto della sua malattia è stato il suo ultimo "manifesto". «Era trasparente, senza filtri, si metteva a nudo. La sua lezione più grande? La libertà».