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Pasticcera costretta a chiudere per maternità, la storia di Alice Serafini: «Fare i genitori è un lavoro, non ho avuto scelta»

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La storia, riportata da "Il T Quotidiano Autonomo del Trentino Alto Adige Südtirol", è quella di Alice Serafini, una pasticcera trentina di 32 anni, che ha dovuto chiudere l'attività perché diventata madre.

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La storia

Alice Serafini ha 32 anni, ha esperienze professionali in ristoranti di grande prestigio all'estero come capo pasticcera, agli ordini di chef d'essai come Eneko Atxa. Ora però ha «chiuso a malincuore la mia pasticceria Speculoos di Martignano per fare la mamma a tempo pieno, ma non è stata una scelta, no: non avevo alternative - ha detto la donna secondo quanto riporta "il T" -. L’artigiana partita Iva non ha le stesse tutele di una lavoratrice dipendente: non può permettersi di fermarsi, di rallentare i ritmi di lavoro, deve continuare a sostenere i costi, a pagare le tasse. Ho dato priorità alla famiglia: voglio veder crescere il mio bimbo» e «fare i genitori è un lavoro».

Ha partorito a giugno e, nello stesso periodo, ha dovuto chiudere laboratorio e punto vendita di prodotti di pasticceria gluten free, aperto con il fratello Alberto a Trento nel 2020 durante la pandemia covid.

Una decisione sofferta «Era il mio piccolo mondo - continua l'intervista -, il mio sogno realizzato dopo che mi ero tanto impegnata fin da giovanissima, facendo anche novanta ore di lavoro a settimana in ristoranti stellati. Se non avessi aperto una mia attività di prodotti gluten free non sarei rimasta nel settore data la mia allergia respiratoria alla farina. Ammetto che dover chiudere questo capitolo della mia vita è stato bello tosto. Mi è dispiaciuto eccome. Eppure, dovessi equipararla a una partita, posso dire che questa esperienza è stata una bella giocata. Così bella che me ne sono andata con il sorriso. E la mia testa è ancora connessa lì: capita ancora che pensi a nuovi dolci da proporre ai clienti».

Purtroppo non ha avuto scelta, e responsabile sarebbe l’inadeguatezza dei servizi offerti dallo Stato per le donne imprenditrici. «Già, non avevo possibilità di continuare a tenere aperta la pasticceria, sono stata obbligata: con la maternità – e da artigiana mi spetta un’indennità di cinque mesi – mi sarei pagata a malapena l’affitto dei locali. Senza considerare le tasse da pagare, bollette e ulteriori spese. Lo Stato tutela maggiormente le lavoratrici dipendenti. Nel nostro caso, di donne con partita Iva, se ci si ferma tutti i costi sono sulle nostre spalle, per questo molte cercano di rientrare quanto prima, ma il mio è un lavoro fisico: non posso fare smart working, devo essere in laboratorio, produrre dolci. Già continuare fino all’ottavo mese è stato pesante, faticoso, anche se avevo ridotto un po’ le ore. Ed ero abituata a macinarne anche dodici al giorno, sei giorni su sette».

«Avrei dovuto tornare al lavoro subito, e il bimbo a chi lo avrei lasciato? Quando lo avrei visto? Difficile essere in pasticceria se devi allattare, detto che non avrei potuto portare Luca in laboratorio. Non si fa un figlio per lasciarlo ai nonni o alla baby sitter, io non voglio perdermi i suoi primi passi, le sue prime parole. E a parer mio lo Stato dovrebbe agevolare maggiormente anche i papà, come succede già all’estero: il mio compagno Matteo, che mi aiuta tantissimo, ha dovuto chiedere ferie per stare con noi».

E alla domanda sulla possibilità di pentirsi della decisione risponde che non potrebbe accadere. «No, ho scelto il mio bimbo, la mia famiglia - conclude».

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