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Pomeriggio Cinque, il giornalista Fabio Giuffrida: «Ho intervistato un assassino senza saperlo, ma il mio dovere era documentare tutto»

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«Mai nella mia carriera mi era capitato di intervistare qualcuno che, davanti ai miei occhi, ammettesse di essere un assassino». Con queste parole, Fabio Giuffrida, giornalista di Pomeriggio 5, introduce il racconto di un’intervista che ha fatto rapidamente il giro d’Italia, scatenando dibattiti sia in ambito giornalistico che sociale. Il caso è quello di Lorenzo Carbone, il figlio cinquantenne che ha confessato in diretta televisiva di aver ucciso la madre, Loretta Levrini, soffocandola dopo un litigio.

L’incontro casuale e la svolta inaspettata

La vicenda inizia con il giornalista impegnato a seguire le ricerche di Carbone insieme ai vigili del fuoco e ai carabinieri. «Eravamo alla stazione di Maranello e poi ci siamo spostati alla bocciofila. Seguivamo le operazioni dei droni che stavano cercando Lorenzo, con il timore che potesse essersi suicidato dopo aver ucciso la madre», racconta Giuffrida. Quando sembrava che le ricerche non stessero portando a nulla, il giornalista e la troupe hanno deciso di tornare sotto casa dell'uomo. Ed è lì che la vicenda ha preso una piega imprevedibile. «Erano le tre e mezza, noi eravamo già lì da un quarto d’ora, quando vedo sbucare all’improvviso da sinistra un uomo in uno stato confusionale che si aggirava come in cerca di aiuto».

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Il riconoscimento

Uno dei dettagli più sorprendenti del racconto di Giuffrida è il momento in cui si rende conto che la persona che ha di fronte è proprio Lorenzo Carbone, il presunto omicida. «Tu mi chiedi come ho fatto a riconoscerlo? Non l’avevo mai visto prima, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che cercava il mio, come se volesse parlarmi». Inizialmente, il giornalista non aveva idea di chi fosse realmente quell’uomo, poteva trattarsi di un parente della vittima. «Quando mi ha detto ‘Sì, sono Lorenzo Carbone’, mi sono reso conto che stavo parlando con il presunto killer».

La confessione

L’intervista prende una svolta drammatica quando il 50enne, apparentemente desideroso di sfogarsi, confessa l’omicidio. «Sembrava che stesse aspettando qualcuno con cui parlare, e io ero lì, il primo con cui aveva avuto contatto dopo più di 24 ore di figa». Senza esitazione, Carbone inizia a raccontare cosa è successo, ammettendo di aver soffocato la madre e descrivendo il suo stato confusionale dopo il delitto. «Era lucidissimo mentre parlava, anche se sembrava chiaramente esausto. Non aveva dormito per ore e aveva vagato senza una meta». Il momento più intenso arriva quando Carbone scoppia a piangere, rivelando i dettagli dell'omicidio, che però Giuffrida sceglie di non divulgare interamente per rispetto. «Abbiamo omesso molti particolari macabri perché non ritenevamo opportuno trasmetterli, soprattutto in quel contesto» afferma il giornalista.

Un gesto umano e deontologico

Uno dei punti che ha sollevato maggiori discussioni riguarda il comportamento di Giuffrida durante l’intervista, che è stato definito da alcuni come una violazione dell’etica giornalistica. Ma il giornalista si difende con fermezza. «L’ho intervistato con molto garbo e umanità, senza fare domande aggressive. Era fondamentale mantenere un certo rispetto, anche se avevo di fronte un uomo che aveva appena confessato un crimine terribile. A prescindere dal fatto che fosse un assassino, rimaneva una persona in stato di shock e meritava di essere trattato con dignità». Inoltre, Giuffrida sottolinea come la sua prima preoccupazione fosse quella di coinvolgere le forze dell’ordine. «La mia prima domanda è stata: ‘Hai chiamato i carabinieri?’ Quando ha detto di no, li ho chiamati io immediatamente. Anche se stavo svolgendo il mio lavoro da giornalista, la priorità era far sì che venisse consegnato alla giustizia».

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Il peso delle polemiche

Dopo la messa in onda dell’intervista, molti si sono chiesti se fosse stato opportuno dare spazio a una confessione in diretta TV, sollevando questioni deontologiche. Giuffrida ha risposto così: «Ognuno ha la propria etica, ma il mio dovere come giornalista era documentare ciò che mi stava accadendo davanti e svolgere un servizio pubblico. Non sapevo cosa stesse per dirmi, ma non posso ignorare un fatto del genere. Non c’è stato alcun atteggiamento aggressivo, ma solo la volontà di raccontare una storia, con tutta la delicatezza che situazioni del genere richiedono». Il giornalista conclude parlando della complessità delle storie familiari e dei drammi che si consumano troppo spesso dietro le porte chiuse: «Non sappiamo mai cosa accade davvero nelle case degli altri, e per questo motivo, anche in situazioni come questa, è necessario affrontare tutto con rispetto e umanità. Non si può giudicare senza comprendere fino in fondo».

Il timore

Nonostante la delicatezza della situazione e la consapevolezza di trovarsi di fronte a un possibile assassino, Fabio Giuffrida non ha mai lasciato che la paura prendesse il sopravvento. "Sì, ho provato timore ed ero scosso – ha raccontato – ma quando fai il giornalista, in momenti così delicati devi mettere da parte le emozioni e concentrarti sul tuo lavoro". Ha ricordato di essersi sentito sollevato solo quando l'uomo ha gettato a terra lo zainetto, segnale che non rappresentava un pericolo immediato. Il cronista, ha sottolineato che in quelle circostanze non si può mai essere del tutto sereni, ma la priorità resta sempre la stessa: raccontare i fatti con sensibilità e rispetto per chiunque sia coinvolto.

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