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Prelievi con il bancomat all?insaputa del cliente, la banca è responsabile: la decisione della Cassazione

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Potrebbe essere una decisione rivoluzionaria, soprattutto a fronte del numero crescente di truffe bancarie: per la Cassazione, prelievi e pagamenti disconosciuti dal cliente dovrebbero essere addebitati alla banca. A meno che l’istituto di credito non dimostri di avere messo in atto tutte le misure per fare fronte ai «rischi di impresa tipici, della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere; dunque, la diligenza della banca va a coprire operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo». Così è stato stabilito con una recente ordinanza, che ha disposto un appello bis per la controversia avviata quasi 15 anni fa davanti da una correntista Bnl davanti al Tribunale di Salerno.

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LA VICENDA

La signora in questione aveva citato l’istituto di credito sostenendo di avere subito prelievi, fraudolenti, per 5.725 euro. Per la correntista gli addebiti erano da imputarsi «alla negligenza della banca, consistita nella mancata adozione delle cautele idonee a scongiurare operazioni illecite da parte di terzi» e pertanto aveva chiesto al Tribunale un risarcimento. Il giudice aveva respinto l’istanza. E lo stesso, qualche anno dopo, ha fatto la Corte d’appello. Per le corti, l’affermazione della correntista, che aveva sostenuto di avere sempre tenuto con sé la carta, anche durante i viaggi all’estero, «è meramente apodittica, del tutto priva di riscontro probatorio». E d’altra parte la banca, nella sua costituzione, aveva puntato sul fatto che, se anche la carta fosse stata clonata, il prelievo poteva essere avvenuto solo con la conoscenza del pin. La conclusione era stata che, «con elevato grado di probabilità» i prelievi fossero stati eseguiti dai familiari della donna. Le operazioni contestate erano oltre 23, ed erano avvenute, sia mentre la signora si trovava a Cuba, per le vacanze di Natale, sia durante la sua permanenza in Italia. E anche con la nuova carta, dopo la sostituzione della prima.

LE MOTIVAZIONI

E invece l’ordinanza della Cassazione, «censura la sentenza impugnata per grave difetto motivazionale». Le corti di merito, per i giudici, non avrebbero provveduto all’istruttoria, nonostante le richieste della signora e hanno respinto l’istanza in quanto non provata. La donna infatti aveva anche prodotto i timbri sul passaporto dimostrando che nei giorni di alcuni prelievi si trovava all’estero, ma i giudici avrebbero contestato il possesso della carta durante la permanenza all’estero solo sulla base del fatto che l’istituto di credito aveva considerato il possesso «circostanza indifferente», ossia che il bancomat potesse anche essere clonato, ma il fatto che fosse stato digitato il pin avrebbe fatto ricadere sulla cliente ogni addebito. E invece la Corte sottolinea: «La responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente, mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente, configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento, ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale». Continuano i giudici: «Mentre, pertanto, il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto e il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio».

Concludono i giudici: «Ne consegue che, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente un’eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore». Inoltre, si puntualizza nella sentenza: «Al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento - prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente - la possibilità di un utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo». Del resto, già nel 2019, si ricorda nelle motivazioni, la stessa Cassazione aveva indicato «la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa solo se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente».

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