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La perdita del controllo sulla Siria è per Vladimir Putin un disastro geopolitico e strategico. Sia in epoca sovietica sia in quella contemporanea la famiglia al-Assad (dal 1971 il padre Hafiz poi dal 2000 il figlio Bashar) è stata il fulcro delle strategie regionali del Cremlino. Ma non solo: adesso viene messo in discussione persino lo status della Russia come potenza militare in Medio Oriente, in Africa e nel Mediterraneo. Sì, perché le basi della Marina a Tartus e dell’Aviazione a Khmeimim – teoricamente prese in affitto fino al 2066 - sono state utilizzate per anni come punto di passaggio obbligato per i mercenari impiegati in Centrafrica e nel Sahel. E Tartus serviva anche come punto di appoggio per la Marina, battente la bandiera di Sant’Andrea, in navigazione nel mar Mediterraneo soprattutto ora che gli stretti - ossia il Bosforo e i Dardanelli - sono chiusi per il conflitto in Ucraina.
Le postazioni
È dall’estate scorsa che era stato lanciato l’allarme, inascoltato dal potere moscovita, che in Siria la situazione poteva diventare all’improvviso incontrollabile. E così è stato. In questi ultimi drammatici giorni Putin ha tentato di guadagnare tempo con la diplomazia internazionale e di fare accordi sul terreno con le varie fazioni presenti in Siria. Impossibilitata a inviare in soccorso ad Assad proprie truppe di terra, Mosca ha usato invano l’aviazione per rallentare l’avanzata dei ribelli verso Damasco.
Ora è venuto il tempo dell’evacuazione. In totale i russi avrebbero circa 7.500 militari in Siria. Come scrivono i blogger pro-Cremlino, i ribelli sono a 30 chilometri da Khmeimim e a 80 da Tartus. Mosca ha anche una decina di postazioni (o punti di osservazione) in giro per il Paese arabo e, al momento, non si conosce la sorte degli uomini lì impiegati.
Nella giornata di sabato, ha comunicato un canale specializzato in questioni militari, sono arrivati a Khmeimim, contemporaneamente, alcuni grandi aerei da trasporto Iljushin-76 e Antonov-124 “Ruslan”, in passato utilizzati per portare armamenti pesanti. Ma solo ieri, polemizzano alcuni blogger pro-Cremlino, sarebbe arrivato l’ordine di evacuazione. Da recuperare anche gli arsenali. A Tartus sono presenti il sottomarino Kilo e 5 unità navali. Tra queste le fregate lancia-missili Admiral Grigorovich della Flotta del mar Nero, la Gorshakov e la Golovkov della Flotta del Nord. Navi, di ultima generazione, fiore all’occhiello della Marina federale. Due navigli di sostegno completerebbero la squadra che, lunedì passato, ha registrato la partenza della Elnja, imbarcazione incaricata del rifornimento di carburante dei mezzi navali russi nel mar Mediterraneo. Portare in salvo queste unità sarà più semplice rispetto a quanto si dovrà fare con gli aerei. Esse ritorneranno in Russia nei porti del Baltico o dell’Artico. Per i velivoli, invece, probabilmente servirà un accordo di sorvolo con la Turchia o l’Iraq.
La sfera di influenza
È dal 1971 che Mosca usufruisce della base di Tartus, che - per lunghi anni dopo il 1991 - non venne utilizzata. Il suo ammodernamento avvenne nel 2012, l’anno dopo lo scoppio delle “primavere arabe” e il ritorno al Cremlino di Putin, che ha mantenuto letteralmente in piedi il regime di Assad dopo il 2015. Nella strategia di Mosca la base di Tartus era essenziale per controbilanciare la presenza delle portaerei Usa nel Mediterraneo. Quella aerea di Khmeimim è stata inaugurata nel 2015 nel quadro di un accordo per la lotta contro lo Stato islamico. Qui sono dislocati oggi decine di caccia ultramoderni e bombardieri di vario genere. I russi hanno usato anche gli aerodromi di Palmira e Homs.
Il Cremlino ha un buon rapporto con il generale libico Haftar, che controlla Bengasi e la Cirenaica. Se Mosca vorrà continuare le sue campagne in Africa ed avere una presenza nel mar Mediterraneo sarà costretta a trovare un qualche approdo per le sue navi militari. Adesso è troppo presto per prevederlo. Molto dipenderà dall’esito degli eventi bellici in Ucraina.