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Simona Viceconte suicida come la sorella un anno dopo. «Non furono maltrattamenti psicologici»: il marito assolto in appello

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TERAMO - Non ci sono stati maltrattamenti psicologici: assolto anche in appello Luca Amprino, bancario di 55 anni. Per i giudici di secondo grado (il collegio ieri è stato presieduto da Aldo Manfredi) la morte a Teramo di Simona Viceconte, la 45enne piemontese che quattro anni fa si tolse la vita nel suo palazzo come 12 mesi prima aveva fatto la sorella Maura, ex olimpionica di maratona e di fondo, non può essere ricondotto a presunti maltrattamenti psicologici, di cui era accusato Amprino (difeso dagli avvocati Antonietta Ciarrocchi e Cataldo Mariano), assolto perché il fatto sussiste.

Simona Viceconte suicida, quei maltrattamenti psicologici del marito: il processo, l'assoluzione e ora l'appello


L’assoluzione in primo grado del gup di Teramo era stata impugnata in appello dal pm Enrica Medori che aveva chiesto la condanna per l’imputato a 10 anni di reclusione. Ieri in aula, all’Aquila, il procuratore generale Alessandro Mancini ha parlato di una madre di famiglia oggetto di «violenza economica», di continue mortificazioni e costretta a quotidiane rendicontazioni da parte del marito anche per fare acquisti di generi alimentari. Presunte pressioni che sarebbe anche emerse dal tenore dei messaggi telefonici che l’imputato ha inviato alla donna. Tutto ciò - spiega l’accusa - condito anche da « minacce di separazione, di non farle vedere più le figlie minorenni e di non avere più una casa dove vivere». A giudizio, sempre del Pg, neppure il primo tentativo di suicidio della donna avrebbe indotto l’imputato a cambiare atteggiamento. Ricostruzione diametralmente opposta quella ripercorsa dai due difensori dell’imputato, a partire dalla volontà della donna «di chiedere per prima la separazione, da ambo le parti senza pretese».

Sempre la difesa, ha portato all’attenzione del collegio giudicante l’intenzione della donna di «nascondere al coniuge il possesso in banca della somma di 200mila euro» e di come al primo tentativo di suicidio di Simona Vicenconte, il marito «si fosse preoccupato» e avesse chiesto «il perché dei segni attorno al collo, ottenendo una risposta evasiva legata alle pulizie domestiche». Nei confronti della donna, hanno concluso i difensori, «non c’è mai stato nessun maltrattamento né fisico né psicologico, nessuna privazione economica». Cruciale nella ricostruzione le dichiarazioni rese, in sede di incidente probatorio, dalle figlie della coppia, le quali avrebbero escluso che l’imputato fosse solito rivolgersi in modo offensivo o vessatorio verso la loro mamma, pur avendo ammesso che «i litigi tra i genitori erano da tempo all’ordine del giorno». Aspetto lungamente evidenziato dai due difensori, supportati anche dalla stessa sentenza di primo grado che in relazione alla non attendibilità delle due minorenni sollevata dal pm in ragione «del verosimile scopo di preservare o comunque alleggerire la posizione dell’imputato, tutto ciò appare una semplice congettura in contrasto con quanto emerso dall’esito della perizia psicodiagnostica».

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