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La caduta di Assad e un nuovo Medio Oriente. Chi ci guadagna e chi ci perde? Per l’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante d’Italia presso la Nato, a perderci sono Iran, Russia e Hezbollah. A guadagnarci, la Turchia, Israele e l’Occidente. «La Turchia ha sempre sostenuto l’Hts di Al-Jolani, non sappiamo fino a che punto ma se teniamo conto che è sopravvissuto in un territorio al confine con la Turchia, il minimo che ha ricevuto da Ankara è una certa comprensione». Israele ci guadagna perché «spezza l’accerchiamento dell’arco di resistenza patrocinato da Teheran su tutta la frontiera nord. Non c’è più – sottolinea Stefanini - continuità territoriale tra Iran e Libano. E non c’è più l’amico dell’Iran che era Assad, rispetto al quale il nuovo governo, che non ha al momento connotati precisi, è pur sempre preferibile per gli israeliani».
Perché ci guadagna anche l’Occidente?
«È una battuta d’arresto per Russia e Iran, e noi ci troviamo a fronteggiare un’alleanza Russia-Iran-Corea del Nord che fa la guerra all’Ucraina, da noi sostenuta».
I nuovi padroni della Siria non hanno connotati precisi, dice, in che senso?
«La forza determinante è stato l’Hts, che in pochi giorni dal confine della Turchia è arrivato a rovesciare Assad a Damasco, prendendo lungo il cammino strade e città senza colpo ferire. Ma non esaurisce l’opposizione, che presenta varie componenti non tutte sulla stessa lunghezza d’onda. I curdi hanno combattuto Assad, ma anche l’Hts, in quanto sostenuto dalla Turchia. Bisogna vedere se i vincitori daranno seguito alle promesse di moderazione e inclusività di cui abbondano le loro dichiarazioni, e poi se riusciranno a ricomporre questa galassia in un governo della Siria, oppure se siamo semplicemente alla vigilia di un’altra fase della guerra civile in Siria. La componente alawita, aggiungo, non sparisce di scena, rimane una presenza nel nord-ovest del Paese, nelle zone in cui ci sono le basi russe».
I russi conserveranno le basi di Latakia e Tartus?
«Faranno il possibile, bisognerà vedere se con forze proprie o col consenso del futuro governo siriano. Sicuramente, i ribelli non hanno molta simpatia per i russi che per circa 9 anni li hanno bombardati regolarmente. Tuttavia, mai dire mai…».
Soprattutto perché il loro leader, al-Jolani, è jihadista ma pragmatico?
«Sì, ma dipenderà pure dal pragmatismo o meno dell’Occidente se riuscirà ad avviare un dialogo coi nuovi poteri in Siria. Non è facile. Il problema è chi lo fa, se Trump ha già detto: stiamo fuori dalla Siria. Si vedrà se questo comporti il ritiro degli americani dalle basi create in Siria, in funzione anti-terrorismo. In Siria e in Iraq…».
I ribelli si fermeranno alla Siria? non attaccheranno altri Paesi come Iraq e Giordania?
«Tutto è plausibile. Quando una forza sente di avere il vento in poppa, non si sa mai dove potrà fermarsi. I rischi di una tracimazione in Iraq ci sono. Altri Paesi, come la Giordania, sono abbastanza blindati e resisteranno a tentativi di questo genere».
Per l’Iran, la caduta di Assad è una sconfitta. Israele potrebbe approfittarne attaccando i siti nucleari iraniani?
«L’Iran è un Paese che ha uno spessore notevole, esiste da 4mila anni. Essendo fallita o avendo subìto una grossa batosta la politica di espansione regionale, l’arma nucleare può diventare la via d’uscita per affermare la sua supremazia in generale. Il che, però, rappresenterebbe un cambio di strategia per l’Iran, perché l’arma nucleare di per sé non è un’arma contro Israele, ma di annientamento reciproco, mentre potrebbe essere un modo per conquistare una supremazia regionale. Scatenerebbe però una corsa alla proliferazione delle armi da altri Stati del golfo. E quanto alla capacità di Israele di dare il ‘colpo di grazia’ a un Paese come l’Iran, è sempre stato molto dubbio che ne abbiano la capacità, visto come i siti nucleari sono stati costruiti».