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Dopo oltre sessant’anni è caduto il regime di Assad, ma occhio a esultare senza guardare a chi subentra. Nel caso della Siria, i ribelli jihadisti che hanno preso Damasco, promettono un governo non integralista, ma sono solo parole da chi permette di farsi intervistare unicamente da donne col velo. Poi c’è la questione degli interessi celati dietro il regime change siriano, nonché vincitori e vinti, anche se è un gioco che è lontano dal vedere la fine.
I vincitori indiscussi sono Stati Uniti e Turchia, ma anche Netanyahu gongola e non per propaganda. Perché strategicamente si tratta di un avvenimento che resterà nei libri di Storia, e che vedrà – in questo caso – soccombere Putin.
Il Cremlino aveva in Assad un alleato fondamentale, uno sbocco sul mediterraneo, senza contare che il Porto di Tartus è l’unico presidio russo ampiamente al di fuori dei confini. “Putin le sue garanzie sul porto le ha, ma perdere la Siria ha rilevanza“, commenta l’ex ambasciatrice Elena Basile.
“Serviva a questo Al-Tanf”
“E’ un fatto risaputo che Obama nel 2013 aveva con l’Arabia Saudita deciso un regime change in Siria. Che non fu attuato perché a richiesta del dittatore Assad, la Russia intervenne e a quel punto l’America di Obama desistette dall’entrare in uno scontro diretto in Siria. Nel 2020 il conflitto si è congelato ed è stato riaperto all’improvviso secondo la maggior parte delle persone – ma evidentemente con una strategia che durava da molto tempo – perché i cosiddetti ribelli, che sono poi milizie affiliate ad Al Qaeda, erano ben addestrati.
Quindi evidentemente la base americana Al-Tanf serviva anche per l’addestramento dei ribelli, attendendo il momento giusto. Il momento giusto è arrivato quando con la Turchia (ma c’è anche naturalmente l’intelligence francese, perché come sapete la Siria fa parte di quegli interessi prima coloniali, poi neocoloniali francesi) hanno deciso che nel momento in cui era indebolita la Russia dalla guerra in Ucraina e l’Iran dalla guerra in Medio Oriente, era possibile portare avanti questa avanzata.
Ora, sembrerebbe una vittoria strategica dell’Occidente e di Israele soprattutto. Naturalmente potremmo dire che è una vittoria di Pirro, perché se pensiamo che l’aspirante nuovo capo della Siria è un terrorista sul quale c’era una taglia altissima dell’Occidente, ci rendiamo conto delle contraddizioni della nostra politica internazionale”.
Un’altra Libia?
“Un’altra osservazione che vorrei fare e che viene distrutto con Assad, con la famiglia Assad, il partito Ba’th, che era lo stesso che esisteva in Iraq. Parliamo di quel panarabismo, nazionalismo panarabo che era tipico dell’Iraq, ma anche della Libia. So che il ministro degli esteri Tajani ha detto “speriamo di non trovarci di fronte a una nuova Libia”, in questo caso sono molto d’accordo con lui perché il timore è questo, o che nasca un nuovo stato islamico in Siria o che ci troviamo di fronte a uno stato fallito, con tutte le conseguenze che sappiamo questo costituisce anche a livello di immigrazione”.
Doppio standard occidentale
“Indubbiamente questa è una vittoria della forza, questa è la grande contraddizione occidentale. Noi abbiamo immaginato questa dialettica aggressori-aggrediti, vorrei chiedere molto gentilmente a Paolo Mieli, a Rampini, a tutti coloro che in questa dialettica aggressore-aggredito, a cui per quel che riguarda la Russia hanno creduto, di spiegarmi oggi chi sia l’aggredito e chi sia l’aggressore in Siria per esempio, per non parlare di Israele che ha subito un attacco terroristico mostruoso (il 7 ottobre) però questo poi è stato l’alibi per una risposta al di fuori di ogni proporzione diritto internazionale per sterminare – come dicono ormai quasi tutti i commentatori – un popolo, in violazione di tutte le risoluzioni dell’Onu.
Oggi in Siria ancora una volta si notano i doppi standard occidentali, si capisce che di fatto la politica internazionale non vede grande differenza tra democrazia e dittatura, vede giochi spietati per interessi geopolitici”.
Il commento integrale nel VIDEO | 10 dicembre 2024