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Il vuoto di potere è sempre un punto interrogativo. Israele e Stati Uniti lo sanno benissimo. Ed è per questo che durante l’offensiva che ha spodestato Bashar al-Assad, da Washington e Tel Aviv non sono mai arrivate dichiarazioni eccessivamente entusiaste. Certo, la fine di un governo alleato dell’Iran non è un male per le due potenze. E le operazioni dell’Idf in Libano contro Hezbollah hanno aiutato eccome i ribelli. Ma il crollo del regime lascia aperti molti punti interrogativi. E questo per l’intelligence Usa e israeliana è un problema. Nessuno conosce le vere intenzioni di Abu Muhammad al Jolani, il leader accusato di terrorismo internazionale che ha conquistato Damasco in dieci giorni. E in Siria c’è un altro nodo da sciogliere: quello delle armi, soprattutto chimiche. Un arsenale che il mondo aveva già messo sotto osservazione negli anni della guerra civile e che ora è tornato al centro dell’interesse degli 007 Usa e non solo. Il New York Times ha raccontato che quando l’offensiva è partita da Idlib, l’intelligence ha voluto capire dove fossero queste armi per vedere se Assad, braccato dalle milizie, avesse intenzione di usarle in un disperato tentativo per fermare i suoi nemici.
L’arsenale
Anche Israele ha il sospetto che Assad non abbia mai smantellato davvero quell’arsenale. Ma a differenza dell’alleato Oltreoceano, il punto di vista dello Stato ebraico è differente. Il caos siriano, infatti, rischia di lasciare campo libero a milizie senza una regia definita, alcune delle quali dichiaratamente islamiste. E il governo di Benjamin Netanyahu ha seguito l’evolversi della crisi anche preoccupandosi che quell’arsenale abbandonato da Damasco non finisse nelle mani sbagliate. Il Mossad e l’Idf si sono subito messi all’opera. Già la scorsa settimana i media israeliani avevano riferito di un raid contro un deposito di armi per evitare che lo trovassero gli insorti. E ieri, l’Idf ha continuato il lavoro. La televisione siriana ha riferito di un bombardamento contro il Centro di ricerca scientifica vicino Damasco. Funzionari della Difesa hanno detto al Times of Israel che decine di caccia sono decollati dalle basi dello Stato ebraico per distruggere “armi strategiche” che potrebbero cadere tra le braccia di fazioni ostili. Fonti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani hanno parlato di attacchi nella zona dell’aeroporto militare di Mezzeh, nei pressi di Damasco. Esplosioni ed incendi hanno colpito anche la sede dell’intelligence e altri edifici governativi. E l’Idf avrebbe preso di mira anche un deposito di munizioni e di armi vicino Suwayda, nel sud della Siria.
Blitz dell'Idf
L’allerta è massima. Ieri, dopo 50 anni, le truppe israeliane si sono schierate nella zona cuscinetto del Golan, sulla Linea Alpha, una zona demilitarizzata in cui lo Stato ebraico non vuole che arrivino milizie ribelli. L’esercito, che ieri ha imposto il coprifuoco a cinque città di quest’area, ha detto che si tratta di misure preventive temporanee dopo che le forze di Assad hanno abbandonato le loro basi.
Intanto, la bandiera di Israele sventola da ieri sul versante siriano del Monte Hermon. «Tendiamo una mano di pace a drusi, curdi, cristiani e musulmani di Siria», ha detto Netanyahu in visita lungo il confine del Golan. E adesso il premier vuole vedere cosa può nascere dal caos a Damasco.