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Un assedio politico. Mosso contro «il ministro che deve gestire più cantieri sulla rete ferroviaria di qualunque altro suo predecessore». Lavori che – è la difesa – «non si possono chiudere in un paio di giorni». E che «oggi sono vissuti come disagi, sì», ma «domani renderanno i viaggi su rotaia più veloci e più sicuri». Poi l’affondo, diretto soprattutto a quell’ex «premier fiorentino» che non perde occasione di tirarlo in ballo: «Se qualcuno ci avesse pensato prima, invece di puntare il dito contro chi prova a risolvere i problemi che ha ereditato da altri...». È furibondo, Matteo Salvini. Perché se è difficile negare che il ripetersi di ritardi e disservizi abbia fatto alzare più di un sopracciglio anche all’interno dello stesso dicastero di Porta Pia, di una cosa è sicuro il vicepremier, ieri di nuovo al centro del fuoco di fila delle polemiche delle opposizioni: quelli che gli vengono rivolti sono attacchi «pretestuosi», indirizzati a lui non in quanto ministro dei Trasporti ma per provare a «indebolire» politicamente il vicepremier. E con lui, l’intero governo.
«I treni c’entrano fino a un certo punto – è la lettura che si fa nell’inner circle del Capitano leghista del nuovo affondo di Elly Schlein e di Matteo Renzi – I guasti c’erano anche quando al ministero c’era Toninelli, così come col governo Draghi o in quelli del Pd... Perché allora non chiedevano le dimissioni del ministro un giorno sì e l’altro pure?». Senza contare che «Salvini deve risolvere problemi gravi ed ereditati», come la mancata pianificazione di interventi adeguati per modernizzare l’infrastruttura. «Non ci sono mai stati così tanti investimenti e lavori in corso sulle infrastrutture e sul trasporto come da quando Salvini è ministro», è lo scudo del suo vice Andrea Crippa. «Lavora 14 ore al giorno, se c’è un guasto tecnico alle 7 del mattino che cosa può fare? Cosa avrebbero fatto al suo posto i chiacchieroni come Schlein, Conte, Renzi?».
LA REPLICA
Ed è proprio per non fare il «gioco» di chi lo contesta che il leader del Carroccio sceglie di non rispondere alle critiche di persona. La replica viene affidata infatti a una «nota» del Mit, che riassume di fatto la difesa salviniana. «Decenni di disinteresse, mancati investimenti, no ideologici: così, oggi, ci ritroviamo in un’Italia con una grave carenza di infrastrutture che spiega i fatti delle ultime ore», è la presa di posizione che arriva da Porta Pia. Dove bisogna fare i conti, da un lato, con la «burocrazia» che zavorra ogni procedura e gli «scioperi a raffica proclamati dai sindacati di sinistra» (una delle principali cause di ritardi e disservizi degli ultimi mesi di cui Salvini, rilanciano i leghisti, «ha provato a ridurre i disagi attraverso la precettazione»). Dall’altro, con un affollamento sulle linee ferroviarie che non ha precedenti nella storia e che continua a crescere di anno in anno. Qualche dato: sulla tratta Milano-Roma, i passeggeri sono passati dal milione del 2009 ai 3,6 milioni del 2023. Più che triplicati i treni nello stesso periodo, da 16mila a 51mila. Numeri che nel 2024 hanno segnato un altro +2%. «Parliamo – spiegano dal Mit – di ben mezzo miliardo di cittadini a bordo di Frecce, Intercity e Regionali», che si spostano su linee «iper-utilizzate: 9mila treni al giorno solo su rete Rfi». E che spesso accusano «problemi di vecchiaia». Una situazione che per migliorare ha bisogno di opere infrastrutturali, come il piano da 100 miliardi di investimenti annunciato da Ferrovie. E ancora: «Sono già attivi più di 1.200 cantieri», molti dei quali legati al Pnrr e dunque indifferibili, «con interventi attesi da decenni come quello di Firenze dal valore economico di 2,7 miliardi di euro».
IL SILENZIO
Ed è proprio sul cosiddetto «imbuto» fiorentino dell’Av che va in scena lo scontro con Renzi, accusato di non aver risolto il problema «neanche quando raccolse le deleghe del Mit». Pronta la replica l’ex premier: «Avanspettacolo, un ministro incapace che attacca un dirigente dell’opposizione dopo che da anni lui è al governo».
Ma se con Renzi la polemica è fatta di accuse, tra i maggiorenti di via Bellerio trapela irritazione anche per il silenzio di meloniani e forzisti. Che, proprio come lo scorso ottobre (quando un chiodo piantato su un cavo paralizzò l’Italia), non prendono le difese dell’alleato. L’unico a intervenire è Maurizio Lupi, con toni che però a qualcuno ricordano una mezza strigliata. Soprattutto quell’inciso: «Le polemiche strumentali – dice il leader di Noi Moderati – non servono a risolvere i problemi, che sono evidenti e che impongono, oltre ad una riflessione, interventi urgenti che il ministro – siamo convinti – sta già facendo».
Una mancata levata di scudi che si spiega anche con il ritrovato attivismo di Salvini su fronti sensibili per gli alleati: dalle uscite sul suo futuribile ritorno al Viminale alla battaglia per il Veneto e il terzo mandato. Colpi che – sembra quasi – FdI e FI abbiano deciso di restituire, lasciando il leader leghista a sbrigarsela da solo con le questioni del suo ministero.
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