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Non tornerà per ora in Italia Carlo D’Attanasio, il velista pescarese condannato un anno fa in Nuova Guinea per traffico internazionale di stupefacenti. Ieri la Corte Suprema dello stato dell’Oceania non ha emesso il verdetto sperato, quello del trasferimento in Italia del detenuto, affetto da un tumore al colon che le diagnosi più recenti definiscono allo stadio terminale. Erano stati gli avvocati difensori Mario Antinucci di Roma e David Dotaona di Port Moresby ad inoltrare la richiesta di estradizione per il loro assistito, ricoverato da tempo in un ospedale del posto dove le condizioni di salute del paziente vengono monitorate costantemente, ma la struttura non è tecnicamente in grado di effettuare un intervento chirurgico per l’asportazione del cancro.
L’attesa
La Corte, che doveva pronunciarsi ieri, ha preso ulteriore tempo riservandosi di individuare un escamotage legale per consentire il ritorno del malato nel suo paese di origine. Amici e sostenitori dell’ex chef, che dall’Italia lo supportano moralmente (ultimamente anche economicamente con una raccolta di fondi per la copertura delle spese legali) attraverso l’associazione Fa.Vi.Va. fondata da Carola Profeta, credevano che l’udienza di ieri fosse quella definitiva per consentire al velista di prendere il primo volo per l’Italia, accompagnato dall’imprenditore di origine italiana Reginaldo Melis che, per amicizia, assiste il paziente nelle sue necessità primarie. Il 3 dicembre, la Suprema Corte di Giustizia aveva ammesso il giudizio sulla “misura straordinaria” per D’Attanasio’, provvedimento che doveva essere discusso ieri. La mancata fumata bianca non viene tuttavia interpretata negativamente dalla difesa dell’imputato, come conferma l’avvocato Mario Antinucci: «Nell'assenza di rapporti bilaterali tra l’Italia e la Papua Nuova Guinea non è facile prendere una decisione che consenta al nostro assistito di tornare in Italia in tempi brevi - afferma il legale - ritengo la volontà di prendere tempo dei giudici, che sono persone molto serie, un modo per cercare una soluzione giuridica finalizzata a raggiungere l’obiettivo sperato. Posso comunque dire che finora alla difesa dell'imputato è stato dato ampio spazio. Aspettiamo dunque con fiducia la decisione della Corte».
«D’Attanasio peggiora, deve curarsi in Italia»
La vicenda
L’incubo del 54enne pescarese è iniziato nel marzo 2020 quando venne arrestato in Papua Nuova Guinea dove si trovava per una tappa del giro del mondo in barca a vela che stava compiendo in solitaria. L’accusa di narcotraffico internazionale scattò in seguito allo schianto sull’isola, di un aereo con a bordo 611 chili di cocaina. Dopo un processo durato oltre tre anni e una contestuale reclusione in condizioni di precarietà, il 30 dicembre 2023 D’Attanasio è stato condannato a 19 anni di carcere. Al momento dell’arresto ed in ogni fase del processo, lo skipper si è sempre dichiarato innocente. I tempi di questa lunga vicenda giudiziaria potrebbero protrarsi se si aspettasse la sentenza di appello che potrebbe comunque essere anticipata per via delle condizioni fisiche del malato. Al detenuto - degente potrebbe anche essere proposto il pagamento della cauzione, ma la reperibilità del denaro non sarebbe semplice né veloce. La svolta sarebbe in un nuovo pronunciamento della Corte Suprema in favore del velista, dandogli la possibilità di curare in Italia una patologia che, dal marzo 2023, viene affrontata con misure palliative tra ospedali e cliniche private. È sempre più impellente scongiurare il rischio che a D’Attanasio non venga più data la possibilità di affrontare terapie adeguate.