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Una giornata all’insegna della leggerezza. Lunedì 6 gennaio dalle 10.30 alle 23 si svolgerà all’Eur, tra la Nuvola e il Palazzo dei Congressi, la prima edizione di “Comicittà - la fiera del buonumore”: presieduta da Lino Banfi, diretta artisticamente da Ezio Greggio e Mario Sesti già titolare della sezione Extra della Festa di Roma, la manifestazione mette insieme film, stand up, editoria. Attesi talk, mostre, ospiti (tra cui Paola Minaccioni, Edwige Fenech, Maurizio Battista, Riccardo Milani) e inediti come l’audio in cui Gigi Proietti racconta una fiaba. Carlo Verdone, re indiscusso della commedia, riceverà il Premio Pietro Germi e assisterà alla celebrazione dei 30 anni di Viaggi di nozze, il suo cult tuttora irresistibile e citatissimo.
Verdone, cosa rappresenta per lei quel successo del 1994, che ha consegnato alla storia la battuta “Lo famo strano”?
«È un film molto importante, rimasto nel cuore di tutti. Dopo commedie intimistiche come Al lupo, al lupo e Perdiamoci di vista è come se avessi sentito la voglia di mettere il distorsore alla chitarra per raccontare la crisi del rapporto uomo-donna. Nella mia agenda i numeri delle coppie continuavano a sdoppiarsi perché ognuno andava a vivere per conto suo. In Ivano e Jessica, i due sposi in cui Claudia Gerini e io abbiamo dato il massimo, ho voluto esprimere la mitomania e la pochezza degli anni Novanta».
E chi è, per lei, Pietro Germi?
«Il numero uno, un punto di riferimento, il più grande autore di commedie. Era un magnifico direttore di attori e attore a sua volta. Sono capolavori i suoi film Sedotta e abbandonata, Divorzio all’italiana, Signore & Signori. Germi era un acuto osservatore che anche attraverso la montatura degli occhiali riusciva a raccontare un personaggio».
È più difficile oggi fare la commedia?
«Sicuramente. Fino a 15 anni fa si andava a briglia sciolta, bastavano uno straccio di soggetto, dei bravi attori e il successo era assicurato. Oggi le cose sono cambiate, la gente non è tanto predisposta alla risata».
Perché?
«È meno felice, mancano e serenità e soldi al punto che non si fanno più figli. Le famiglie si disintegrano con facilità perché non abbiamo capito che amare una persona è un lavoro. Non voglio fare il filosofo, ma l’amore richiede anche fatica. E vale la pena affrontarla».
Chi, secondo lei, sa fare un nuovo tipo di commedia?
«Paola Cortellesi: il suo film C’è ancora domani, che ha incassato 37 milioni, è un’operazione intelligente perché ha unito un forte tema sociale, come la violenza contro le donne, al sorriso. Non è più tempo di farse. Il pubblico vuole ritrovare nella commedia la realtà e riflettere, pur ironizzando sui difetti e le fragilità di oggi».
Lei sta girando la quarta stagione di “Vita da Carlo”, la serie attesa su Paramount+: meglio che fare film?
«Ho scelto di affrontare una serie dopo la crisi del cinema provocata dal covid e sono molto contento. Ma si trattava di una strada nuova, costellata di rischi. Dopo questa quarta stagione, che spero abbia lo stesso successo della terza, chiuderò Vita da Carlo. E girerò un film».
La dittatura del politically correct, che colpisce soprattutto la commedia, si è un po’ attenuata?
«Facciamo chiarezza: rispettare le alte culture, gli immigrati e le donne è doveroso. Ma quando certi professoroni americani o i movimenti femministi estremi vorrebbero bruciare Shakespeare, che tra l’altro nei Sonetti ha celebrato la donna come pochi, io dico fermiamoci. Moderazione e intelligenza possono salvarci dal politically correct, la nuova Inquisizione».
Quale dei suoi personaggi oggi non passerebbe?
«Gallo cedrone per tutto quello che combina alla moglie! Ma è un cretino, mitomane e megalomane in cui ho voluto fustigare il machismo e il vuoto di valori. Non l’ho certo esaltato, la brutta figura la fa lui».
Palazzo dei Congressi, piazza John Kennedy 1; La Nuvola, viale Asia 40. Il 6 gennaio dalle 10,30 alle 23