ARTICLE AD BOX
ROMA. «Trump ha un mandato preciso dal suo popolo: riaffermare il primato americano, rilanciare l’industria e il lavoro negli States. L’Europa deve fare altrettanto, revisionando la sua politica economica e ambientale, subito e senza infingimenti. Con altrettanta velocità di esecuzione. Nel contempo deve confrontarsi nel merito con gli Stati Uniti per evitare che si inneschi una guerra commerciale devastante», sostiene il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Che di fronte alla minaccia di possibili dazi applicati anche ai beni ed alle merci europee chiede all’Unione europea di instaurare subito un confronto di merito. «Come ho detto due anni fa in Parlamento nella prima audizione programmatica del nuovo governo, mentre qualche cancelleria profetizzava già una reazione Ue all’ira di Biden evocando persino la guerra commerciale che si scatenò vent’anni fa sulla vicenda Airbus-Boeing, non possiamo dividere l’Occidente quando dobbiamo ancora fronteggiare la guerra della Russia in Ucraina e in prospettiva la sfida competitiva della Cina. Oggi sarebbe insostenibile».
Il nostro avanzo commerciale verso gli Usa è notevole, questo significa che anche il Made in Italy è nel mirino.
«Gli Stati Uniti sono il nostro principale partner, dopo la Germania, quello che segna la maggiore crescita con prodotti di eccellenza, il nostro Made in Italy, a cui i cittadini americani non vogliono assolutamente rinunciare. In un rapporto di scambi più equilibrato l’Italia può anche guardare con attenzione all’export statunitense di gas liquefatto. Siamo fiduciosi nel confronto e nella grande attenzione che Trump manifesta nei confronti di Giorgia, unico leader europeo ad essere invitato alla cerimonia di insediamento».
I buoni rapporti tra i due possono insomma aiutarci...
«L’Italia è diventata centrale sia nel rapporto con gli Usa Uniti, sia nelle nuove direttrici dello sviluppo, con l’Africa, la Penisola Arabica e la Turchia, sino all’India sulla via dell’Oceania. Nell’India di Modi, l’altro grande attore del nostro mondo, non a caso hanno coniugato il termine “Melodi”, per indicare la piena sintonia. Non è certo con un avviso di garanzia che si può fermare il corso della storia».
L’intenzione di Trump è di imporre dazi anche su microchip e prodotti farmaceutici, altri possibili danni per noi…
«Le multinazionali americane investono in Italia, sempre più in Italia. Nello scorso abbiamo segnato 35 miliardi di investimenti esteri greenfield nel nostro Paese, più che in Francia e Germania, una buona parte americani. Occorre che torni la ragione e una comunità di intenti proprio ora che i valori fondamentali della nostra comune civiltà sono minacciati. Sui dazi come su difesa, energia e digitale, sull'intelligenza artificiale come sullo spazio. Serve una visione strategica, non è una questione di formaggi ma di valori».
Ma per evitare una nuova guerra commerciale l’Europa cosa deve fare?
«Deve capire le ragioni dell'America e instaurare subito un confronto nel merito con una visione strategica nella piena consapevolezza che la globalizzazione è finita e che l’Occidente non può arroccarsi. E nel contempo non può dipendere da altri. Attenzione: l’America di Obama si illuse di poter realizzare un duopolio con la Cina spostando il baricentro degli States dall’Atlantico al Pacifico. Con Trump l’Europa ha l’occasione di far tornare l’Atlantico e quindi il Mediterraneo centrale nei nuovi assetti, con una politica di inclusione nei confronti del Sud del pianeta come quella delineata nel Piano Mattei nel confronti dell'Africa e con metodi ovviamente diversi dallo stesso Trump nelle Americhe».
La Ue è sempre molto lenta nelle sue decisioni.
«È prigioniera di rituali di un passato che non c’è più, in cui dominava l’asse franco-tedesco. Non è tempo di burocrazia ma di politica, ci vuole visione strategica come quella espressa dalla leadership di Giorgia e dall’Italia, che è tornata calamita d’Europa».
La bussola sulla competitività presentata pochi giorni fa a Bruxelles la convince o è la solita lista dei desideri?
«È un passo in avanti nella giusta direzione, ma occorre accelerare e cogliere l’occasione del Clean Industrial Deal di marzo per enucleare una vera politica industriale olistica, strategica, assertiva. In qualche misura complementare e nel contempo competitiva con quella americana».
I dazi su Messico e Canada avranno ricadute pesanti anche sui costruttori europei di auto già in grosse difficoltà. Questo rende più urgente intervenire su questo settore…
«Assolutamente urgente. Ma sia chiaro: rimuovere l’ostacolo delle multe è necessario ma non sufficiente. L’elefante è nella stanza e non può essere nascosto dietro l’armadio. Non servono misure tampone sotto l’incalzare dell’emergenza, occorre una revisione completa come quella da noi prospettata con il nostro “non paper”».
In Europa il dialogo strategico sull’automotive porterà a qualcosa di positivo?
«Ne sono certo, perché conosco le istanze delle imprese e dei lavoratori che si riconoscono nelle nostre posizioni che sono frutto del buon senso. Ogni giorno di più si allarga il fronte della ragione e sia sgretola il muro delle ideologie: il Green deal è caduto a Berlino. Lo dimostrerà proprio la Germania tra pochi giorni».