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ROMA. «In una democrazia di buona qualità, il potere sa prendere le decisioni, riconoscere gli errori e assumersi le sue responsabilità». Gianrico Carofiglio ha vissuto tante vite: ormai da anni è uno scrittore di successo. Prima, ha avuto una parentesi da senatore Pd durata una legislatura. Ma prima ancora, ha lavorato per lungo tempo in magistratura. Con lui si possono ripercorrere le tappe della vicenda del libico Almasri arrestato e poi scarcerato e riaccompagnato in Libia, cercando di fare chiarezza su alcuni passaggi contestati.
Partiamo dall’inizio: una persona inseguita da un mandato d’arresto della Corte penale internazionale rimessa in libertà, non si poteva fare altrimenti?
«Premessa: ho molti dubbi che la decisione della Corte d’Appello sia corretta. Ha ritenuto che fosse indispensabile l’interlocuzione con il ministro della Giustizia, ma quasi tutti gli studiosi di diritto internazionale la pensano diversamente. Forse avrebbero potuto convalidare l’arresto. Dopodiché, resta che il ministro, interpellato, non ha risposto».
Morale, Almasri è stato liberato e riportato in Libia…
«È una cosa che ci scandalizza? Sì, certo, ma fa parte del backstage della politica. L’Italia con la Libia ci parla non a partire da oggi, si sa. Quello che è insopportabile è la fuga dalla verità e dalla responsabilità di questo governo».
Dicono di averlo fatto per motivi di sicurezza dello Stato.
«Ovvio. Ma allora abbiano il coraggio di spiegarlo al Paese in Parlamento. E invece hanno messo in atto una duplice strategia di distrazione: attaccare l’avvocato Li Gotti e il procuratore Lo Voi, e inviare un’imbarazzante lettera ai presidenti delle Camere per sottrarsi al confronto parlamentare».
Quella in cui dicono di non poter riferire in Parlamento perché c’è il segreto istruttorio...
«Il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989, oggi si chiama segreto investigativo: per un errore simile all’esame di procedura penale ti bocciano».
È un errore formale o sostanziale? Potrebbero o no fare comunicazioni?
«Sostanziale: non c’è nessun segreto investigativo perché, fra l’altro, non c’è nessun atto investigativo».
C’è la trasmissione dell’esposto di Li Gotti al Tribunale dei ministri. Pensa che quella denuncia farà strada?
«Nel merito, anch’io ho molti dubbi sulla sussistenza dei reati ipotizzati».
Ma la trasmissione del procuratore Lo Voi al Tribunale dei ministri era un atto dovuto, come dice l’Anm, o voluto, come dice la premier?
«Lasciamo perdere i giochi di parole. Certo che era dovuto. Poteva non farlo solo nel caso di manifesta infondatezza».
La premier però dice: le procure hanno una discrezionalità nel decidere.
«Ognuno dovrebbe parlare delle cose di cui è competente. Al di fuori della manifesta infondatezza, della manifesta inverosimiglianza – che non ci sono nel caso di specie - il procuratore è obbligato a trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri, senza fare alcun accertamento. Se si fosse regolato diversamente, allora sì che avrebbe fatto un errore e, forse, anche un abuso».
Altra obiezione di Fratelli d’Italia: Lo Voi avrebbe potuto aspettare di sentire i ministri in Parlamento prima di trasmettere l’atto. È così?
«Ma per quale motivo? Il magistrato è tenuto al rispetto delle procedure, non a valutazioni politiche».
La premier invece ha considerato tutto questo un attacco della magistratura...
«Ha preso al volo l’occasione di spostare l’attenzione su un altro piano. In retorica si chiama argomentum ad hominem: non vuoi rispondere nel merito e attacchi l’avversario. Su questo Meloni è specializzata: ricordo una volta, qualche anno fa, ci fu una manifestazione contro le morti in mare dove tutti indossavano una maglia rossa. Lei fece un video con la t-shirt rossa dicendo: ora mi mancano solo il Rolex e un appartamento a New York per manifestare anch’io. Ma che c’entra? Distrai l’attenzione per non stare sul merito rispetto al quale non sai rispondere».
Che effetto le fa questo scontro tra politica e magistratura?
«Lo chiamerei più l’attacco di alcune parti della politica contro il controllo di legalità esercitato dalla magistratura».
Secondo Meloni però ci sono piccole parti della magistratura che esondano dal loro ruolo: si sente di escluderlo?
«Certo che esistono casi simili, ma devi riferirti ai casi specifici. Se parli in generale di “pezzi della magistratura”, fai un’accusa destabilizzante: se fossero chiacchiere da bar sarebbe qualunquismo, se lo dicono le istituzioni è avvelenamento di pozzi».
E invece pare che FdI stia pensando a una manifestazione contro le toghe...
«Spero non accada, sarebbe un ennesimo danno alla qualità della democrazia».
Che effetto le fa quel richiamo a «non sono ricattabile»?
«Mi fa pensare alla lezione del linguista di Berkeley George Lakoff: tu dici “non pensare all’elefante” e tutti ci pensano. È come la storia dell’excusatio non petita. Meloni è brava nella comunicazione, ma nel ripetere ossessivamente questa frase secondo me sbaglia».
Da FdI arrivano attacchi anche sulla scelta di non convalidare i trattenimenti dei migranti in Albania: andremo avanti, insistono…
«Questa determinazione ostinata, la totale chiusura alla possibilità di riconoscere un errore, è un segnale preoccupante. Se una certa soluzione non va, fermati un attimo e rifletti, no?».
La ministra Santanché si dovrebbe dimettere?
«Avrebbe già dovuto farlo. Il suo tenere duro mi sembra un segno di caduta di autorità della premier, a cui di solito basta alzare un sopracciglio per ottenere quel che vuole. La sua permanenza al governo è un regalo all’opposizione».
Come le sembra si stia muovendo, l’opposizione?
«Stanno governando la situazione. Ma io penso che, per convincere chi non vota più, non basti il richiamo sia pur giusto a questioni come la sanità, serve una proposta capace di coinvolgere in un futuro possibile».
Magari marciando divisi e poi unendosi con un accordo sui collegi alle elezioni, come si comincia a ipotizzare?
«Quello andava fatto la volta scorsa. Per la prossima, mi pare un’idea un po’ difensiva, di retroguardia, più per non perdere che per vincere. Mi piacerebbe una prospettiva più strategica. Anche se ovviamente non è facile».