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Non solo Giorgia Meloni. Il voto europeo dell'8 e 9 giugno è più della corsa personale dei leader in cui, a spulciare i nomi dei capolista, si è cercato di trasformare la sfida. Dietro alla premier, al generale Vannacci, alla segretaria Schlein e ai vari Tajani e Calenda, c'è un mondo di candidati attivi sul territorio, eurodeputati vogliosi di non lasciare Strasburgo, politici di lungo corso alla ricerca di nuove possibilità, volti noti e "parenti di". Un elenco in cui, circoscrizione per circoscrizione, si condensano sfide dentro la sfida. La corsa in rosa nel Nord-Ovest ad esempio, o quella dei big al Centro. Anche a bocce ferme però, le polemiche non mancano. In primis per la contestata candidatura di Vannacci, finita nell'occhio del ciclone non più solo per il mancato appoggio della base leghista (di ieri l'annuncio di Luca Zaia «Voterò un veneto»), ma pure perché una norma del codice militare vieterebbe agli ufficiali di correre nelle circoscrizioni in cui ha prestato servizio.
Tutto da verificare però, per Vannacci infatti, «la norma non dovrebbe applicarsi alle Europee», preannunciando un lungo iter fatto di sentenze e ricorsi. Iter annunciato anche dal sindaco di Terni e leader di Alternativa Popolare Stefano Bandecchi. Tra le liste escluse, al pari di Italexit e Forza Nuova, c'è anche quella che avrebbe dovuto tenere in campo l'ex magistrato Luca Palamara nel Centro. Stesso destino di "Pace Terra e Dignità", la lista di Michele Santoro rigettata nel Nord-Ovest.
Francesco Malfetano e Francesco Bechis
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