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Esplosioni di cercapersone, Iran, Iraq e Venezuela cambiano i sistemi di comunicazione. «Eliminare la tecnologia»

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Uno squillo ora fa più paura del boato deflagrante di una bomba. La guerra ibrida si gioca su una trincea invisibile, fatta di segnali radio e messaggini apparentemente innocui. La trappola è silenziosa e può essere già nelle tasche o nello zaino: il panico del cercapersone esplosivo contagia eserciti e 007. L’attacco cyber contro i miliziani di Hezbollah, un piano che il Mossad organizzava da oltre 10 anni, è l’anno zero della nuova guerra. E sono soprattutto i regimi, quelli che minacciano e si sentono circondati dai nemici a fari contagiare dal panico del super missile digitale. Ma l’unico rimedio possibile è un ordine perentorio: «Stop tecnologia». E se anche fosse possibile eserciti e governi si trovano di fronte a un altro problema: come comunicare?

I PIANI DI EMERGENZA

La milizia di Hassan Nasrallah è in ginocchio ma l’allarme scatta in tutto il mondo. L’Iran e l’Asse della Resistenza si sentono braccati. Sono preoccupati. Sanno che non si può più escludere nulla, e il senso di assedio si fa opprimente. Una volta colpito Hezbollah con un’operazione così ramificata, è possibile che Israele possa agire ovunque e in qualsiasi momento. E a Teheran, Baghdad e nelle altre capitali di questo “asse” è già scattato il piano di emergenza. Per Iran International, l’ex ministro iraniano delle comunicazioni, Reza Taghipour, in un’ultima intervista ha detto che l’unica soluzione, a questo punto, è produrre tutto in casa e usare solo tecnologie made in Iran, effettuando test su tutti i dispositivi di comunicazione e informatici di fabbricazione estera. Mohammad Marandi, già consigliere del team iraniano per i negoziati sul nucleare, ha avvertito del pericolo per chiunque possegga materiale elettronico prodotto in Occidente o in Estremo Oriente. Mentre in Iraq, le milizie sciite hanno annullato le manifestazioni previste in questi giorni. I Pasdaran sono terrorizzati. E come ha scritto il Jerusalem Post, Khatem al-Fartosi, portavoce delle Brigate Kata'ib Sayyid al-Shuhada, ha dichiarato che «nonostante la sostanziale differenza tra Iraq e Libano, i gruppi della Resistenza adotteranno misure di sicurezza complete e mirate per impedire il ripetersi di incidenti di questo tipo».

IL CASO VENEZUELA

Il timore che la tecnologia occidentale o dispositivi acquistati negli ultimi anni possano trasformarsi in un’immensa trappola esplosiva è arrivato fino in Venezuela. Il regime è molto preoccupato da quanto accaduto in Libano. Tanto che negli ultimi giorni, il presidente Nicolas Maduro, che ha appena spostato le festività natalizie a ottobre, si è rivolto ai suoi connazionali chiedendo di prestare attenzione a qualsiasi regalo elettronico, soprattutto ai cellulari, e ha esortato tutti a regalare prodotti fabbricati in Venezuela. Una scelta che non è solo una chiamata patriottica, ma un chiaro segnale d’allerta. E non solo perché Caracas ha costruito negli anni dei solidi legami con le milizie sciite.

L’ALLARME

L’operazione del Mossad ha fatto capire che le linee rosse sono state ormai superate. E se gli esperti sottolineano che la Cia non ha mai voluto avallare questo tipo di attacchi, ora i nemici di Usa e Israele non si sentono in grado di escludere nulla. «Il diritto internazionale umanitario proibisce l'uso di trappole esplosive sotto forma di oggetti portatili apparentemente innocui», ha dichiarato al Consiglio di sicurezza l'Alto Commissario per i diritti umani, Volker Turk. Ma ormai la partita si gioca con uno schema del tutto diverso. E ci possono essere molte altre sorprese.

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