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L’asse Meloni-Schlein contro il terzo mandato

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Ancora una volta Giorgia Meloni ed Elly Schlein nella stessa battaglia. È la battaglia di resistenza all’assalto dei loro sodali, alleati, azionisti di minoranza, contro il divieto di terzo mandato in nome di sindacature o governatorati potenzialmente eterni. Nelle ultime ore al coro no-limitista si sono aggiunti il sindaco di Milano Giuseppe Sala e quello di Napoli Gaetano Manfredi, pure loro come Luca Zaia e Vincenzo De Luca convinti che la legge vada cambiata, che debbano essere i cittadini a decidere quanto dura il capo di un governo locale. L’offensiva di questi super-personaggi, ben al di là delle convenienze personali di ciascuno, insidia uno dei dichiarati caposaldi dell’azione di entrambe le leader: l’idea cioè che la politica sia azione collettiva in nome di idee e programmi, non una rete in franchising dove ciascuno apre e gestisce per se’ il suo negozio, col diritto di chiuderlo quando non ha più un interesse personale a mantenerlo in vita.

Lo scontro sui limiti di mandato è stato raccontato come una questione di bassa cucina, di cacicchi furiosi all’idea di perdere un ruolo di enorme potere, di contro-cacicchi interessati a toglierglielo, ma in realtà è molto di più. L’elezione diretta dei sindaci e poi dei governatori fu il vero punto di passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, quello che azzerò ogni precedente rendita di posizione e mise fine a certi infiniti padrinaggi locali. L’immobilismo del potere era, all’epoca, qualcosa di palpabile ed evidente a tutti. Fu scardinato dalle nuove norme. La barriera dei due mandati ai prescelti dal popolo costituì non solo un ovvio contrappeso all’assegnazione di enormi poteri esecutivi per via diretta, ma anche una scelta di fondo della Repubblica e un preciso messaggio ai cittadini: il ricambio delle classi dirigenti, così come l’alternanza, sono elementi essenziali della democrazia. Dove i partiti non arrivano o non vogliono arrivare, ci penseranno le regole.

De Luca e il terzo mandato: "Legge non uguale per tutti, la decisione del governo è contro di me"

Il fronte no-limitista, adesso, si propone apertamente di archiviare quella scelta, quel messaggio, quelle regole che pure hanno agito con successo generando mobilità politica, facendo emergere nuove classi dirigenti, promuovendo energie nuove e anche obbligando le forze politiche a interessarsi del tema del ricambio, a coltivare elementi in grado di sostenerlo. Ovvio che questo tipo di discontinuità costituisca spesso un rischio. I candidati talvolta si sbagliano, e si perde. Ma altre volte – vedi il Lazio per la destra, vedi l’Umbria per la sinistra – lo sforzo di rinnovamento premia chi ci prova e realizza la promessa della democrazia, che non è quella di intronare baronie senza scadenza, svuotando di ogni senso la presenza dei partiti.

Il silenzioso asse sul tema tra le due leader di maggioranza e opposizione è interessante anche per questo. Entrambe sono cresciute in mondi politici dove un certo feudalesimo interno era la regola, entrambe lo hanno sfidato e adesso tengono il punto rispetto ai più potenti ed esperti tra i Lord di territorio, capaci di mobilitare come si è visto voci autorevoli a sostegno delle loro richieste. Sanno che in questa partita si misura la loro autorità all’interno della coalizione (nel caso di Meloni) o della quasi-coalizione (nel caso di Schlein), ma la loro resistenza al coro no-limitista è un bene per motivi ben più generali.

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