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Daniele Capezzone 19 dicembre 2024
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È ufficiale. Elon Musk li ha fatti impazzire tutti: i parrucconi della iper-regolazione europea, gli eterni mandarini del potere italiano, i guru (e i paraguru) abituati ad essere accettati solo in quanto supporter della sinistra. E invece Musk ha scombinato i giochi.
Ha preso su di sé un enorme rischio, certamente: immaginate cosa sarebbe stato di lui in caso di sconfitta di Donald Trump, con il quale si è apertamente schierato quando il risultato elettorale americano appariva ancora incertissimo.
Sta di fatto che pure qui in Europa il capo di Tesla è diventato un’autentica bestia nera delle élites politiche e mediatiche, quasi più scatenate verso di lui che contro Donald Trump. Per decenni, in particolare in Italia, avevano non solo sopportato ma supportato – comportandosi da veline, da majorettes, da cheerleaders – qualunque intromissione estera: dalle risatine di Merkel e Sarkozy alle frustate di Juncker-Dombrovskis-Moscovici. Ma contro Musk a sinistra sono improvvisamente diventati tutti sovranisti.
Non solo. Per ciò che riguarda i giganti del big tech, per interi lustri la Silicon Valley era stata completamente schierata da una parte, cioè a sinistra: e nessuno aveva avuto nulla da eccepire. Il solo fatto che Musk, prendendo Twitter e trasformandolo in X, abbia rotto un monopolio, e lo abbia fatto all’insegna della libertà di parola (per capirci: la prima mossa dopo la scalata di X è stata quella di renderne trasparente l’algoritmo, cioè il meccanismo di funzionamento), ha portato i progressisti alla crisi isterica. Concepiscono il monopolio o al massimo l’oligopolio: una dimensione di libero mercato delle idee (nel quale si sentono soccombenti) li atterrisce.
Dalle nostre parti, invece, Libero aveva suggerito in epoca non sospetta di prendere Musk molto sul serio, contro una cattiva letteratura che lo liquidava come un affabulatore o un pazzo. E non solo perché era ed è la persona più ricca del mondo, ma per la portata oggettivamente enorme delle sue realizzazioni: dalla Tesla alle avventure spaziali e satellitari.
E attenzione: l’uomo è un autentico campione di anticonformismo. Sia nell’orientamento culturale di fondo (è di fatto un libertario di destra), sia nei comportamenti economici e ad alta valenza politica, come quando si è trasferito dalla California al Texas, optando per uno stato governato dai repubblicani e caratterizzato da scelte fiscali e pro-mercato opposte allo schema “tasse alte e big government” proprio dei democratici. Tutte cose che hanno fatto impazzire di rabbia sia la Silicon Valley sia i progressisti ufficiali (Hollywood inclusa).
IL SOLITO DOPPIOPESISMO
Adesso, intanto, non si sa se facciano più tenerezza o più impressione le comitive dei progressisti italiani ed europei, letteralmente da un altro pianeta e da un altro secolo, dedite a scagliare anatemi e a fare esorcismi. Non avevano fatto una piega quando per anni gli oligarchi della rete erano tutti pro-dem e quando lo Zuckerberg della situazione dettava un invariabile standard filo-progressista. Ora però si sono tutti arruolati in un farlocco e improvvisato Cln antimuskista.
Ma cosa vorrebbero di preciso costoro? Sequestrare il telefonino a Musk? Espropriare le sue aziende? Privarlo della libertà di parola? Davvero siamo al punto per cui, se parla Richard Gere, si srotolano tappeti rossi, mentre, se a dire una parola è Musk, si lanciano uova marce? Suvvia.
UN COLPO AL PENSIERO UNICO
Non giriamoci intorno: il punto è il terrore di questi signori che il loro mondo venga disarticolato e scardinato, e che saltino l’impostazione a senso unico e l’orientamento monoculturale a cui erano comodamente abituati. Tanto per fare un esempio, prima che Musk acquisisse X, un’impressionante tabella (fonte: Center for Responsive Politics) mostrava le donazioni fatte dai dipendenti delle principali aziende a candidati politici: il 98,7% delle donazioni fatte da dipendenti di Twitter era andata ai democratici, come il 99,6% di quelli di Netflix, il 97,5 di quelli di Apple, il 94,5% di quelli di Facebook e così via. Quel mondo non c’è più, un mercato si è aperto. E c’è chi non si dà pace.
Quanto all’Italia, il giochino è ancora più mediocre e provinciale: tutta la retorica che monta da settimane contro il “turbocapitalismo” e le nuove “tecno-oligarchie” è solo un modo indiretto per attaccare Giorgia Meloni, proiettando su di lei una luce cupa e presentandola come espressione italiana di quei poteri. Ma basta dare un’occhiata alla rete e ai social per rendersi conto di come il tentativo di demonizzazione di Musk stia incontrando non solo la freddezza, ma perfino l’ironia feroce delle persone comuni. Che gli ex soldatini progressisti abituati alla chiamata dello straniero si siano trasformati in gloriosi patrioti anti-muskisti dalla schiena dritta non può crederlo proprio nessuno.