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Avevano trovato tutte quello studio su TikTok e il sogno della chirurgia a prezzi più bassi. Non serviva pagare una sala operatoria e neanche un anestesista per avere il “ritocchino” desiderato.
Un ideale di bellezza da raggiungere a tutti i costi, incuranti del pericolo che si può correre quando ci si sottopone a un’operazione senza le dovute precauzioni. Ma se sono due professionisti a garantire sulla sicurezza, si può chiudere un occhio. È servita la morte di una ragazza di 22 anni, Margaret Spada, a destare gli animi di chi si era sottoposto a quegli interventi.
Sono almeno quattro, a Roma, le ex pazienti di Marco e Marco Antonio Procopio - padre e figlio indagati per omicidio colposo per la morte della 22enne di Lentini deceduta dopo un intervento di rinoplastica -, ad aver sporto denuncia contro i due medici per i danni causati dai loro interventi, molti dei quali effettuati proprio in quello studio medico di via Cesare Pavese che non aveva le autorizzazioni per operare.
LE ACCUSE
Lo stesso nel quale Margaret lo scorso 4 novembre ha accusato il malore che l’ha poi portata alla morte tre giorni dopo all’ospedale Sant’Eugenio. Ma le denunce non sono arrivate solo ai pm della procura di Roma. Sarebbero infatti in tutto una decina le ex pazienti, sparse in tutta la penisola, ad aver denunciato i Procopio. Tra i motivi anche il fatto che i medici fumassero dentro alla stanza dove operavano - elemento che troverebbe conferma anche nella relazione degli operatori del 118. Una ragazza, nello specifico ha raccontato di essersi sottoposta a un intervento al seno di cui non era soddisfatta e di essere stata nuovamente operata nel centro senza autorizzazioni il giorno della visita di controllo.
Alcune di loro - circa 20 - erano state ascoltate anche dai militari del Nas, ai quali la procura ha delegato le indagini. Non avevano sporto formale denuncia ma avevano comunque raccontato delle irregolarità nelle procedure operatorie. Per quanto riguarda gli esposti arrivati nella Capitale, non confluiranno nello stesso fascicolo per la morte della 22enne ma saranno trattati separatamente per non appesantire un’indagine già complessa, a capo della quale c’è la pm Eleonora Fini che proprio ieri ha nominato un ulteriore medico legale - oltre al pool di esperti già nominati negli scorsi mesi - per fugare ogni dubbio sulla morte della giovane. La prossima settimana scadrà il termine per il deposito della relazione sull’autopsia, svolta al policlinico Tor Vergata il 15 novembre scorso. Ma con ogni probabilità il pool di medici chiederà una proroga di almeno 30 giorni.
GLI ACCERTAMENTI
Dall’esame autoptico è emerso che l’intervento era già iniziato quando la 22enne si è sentita male - al contrario di quanto sostenuto dai due indagati - e una sospetta patologia cardiaca congenita potrebbe aver peggiorato la situazione, motivo per cui è stato disposto un esame istologico. Fondamentale stabilire il tipo e la quantità di anestesia somministrata a Margaret. Potrebbe essere stato infatti un “rabbocco” o un eccesso di vasocostrittori nell’anestetico ad aver causato quella reazione che ha portato alla morte della 22enne. Tutti aspetti che verranno chiariti dalla relazione redatta dagli esperti. Quel che è certo è che, come emerso dalla relazione dell’Asl sul percorso clinico-assistenziale della 22enne, la giovane aveva avuto «una polmonite ab ingestis»: Margaret aveva tracce di cibo nei bronchi. Aveva mangiato prima di sottoporsi all’intervento, proprio su suggerimento di un messaggio arrivatole dal cellulare dello studio medico, sembrerebbe inviato dalla segretaria e compagna di Marco Antonio.
Dalla relazione dell’Asl era emerso inoltre che non fu rianimata subito e neanche in modo corretto. Il defibrillatore, seppur presente e funzionante - come accertato dai sopralluoghi del Nas -, non è stato utilizzato. Padre e figlio operavano anche in una clinica privata a nord di Roma - estranea alle indagini -, che però sembra aver preso le distanze dai due, non permettendogli più di effettuare interventi nella struttura. I due medici, occorre ricordarlo, non hanno ricevuto nessun obbligo di legge che impedisca loro di operare.
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