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Medio Oriente, le tre strategie di Tel Aviv (incluso il blitz via terra). Si incrina l?asse anti-Israele

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I governanti israeliani lo sanno, i generali anche, adesso pure i soldati. I paracadutisti e gli specialisti dei commando d’élite della 98esima Divisione dell’Idf, le forze di difesa di Israele. Lo sanno gli uomini della 179esima e 769esima Brigata corazzata schierati da giorni sul fronte nord con il Libano. Sono consapevoli che la campagna di terra sia vicina.

Sono pronti a varcare il confine, a invadere il Paese dei Cedri come nel 1982 e nel 2006. La litania che corre di bocca in bocca è quella del fiume Litani, una trentina di chilometri dalla frontiera, oltre il quale politici e strateghi israeliani vogliono spingere le milizie organizzate, un vero esercito, di Hezbollah, gli sciiti filoiraniani di Hassan Nasrallah che da dopo il 7 ottobre martellano con razzi e droni le cittadine frontaliere di Israele. Sono 60 mila gli israeliani che sono stati costretti ad abbandonarle, sfollati in patria. Nei giorni scorsi, il premier Netanyahu e il ministro della Difesa, Gallant, avevano indicato il ritorno a casa come un legittimo «obiettivo di guerra» e manifestato agli alleati, gli americani in primis, che la situazione non era più sostenibile. Parole che significano guerra.

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L’esplosione simultanea (in due giorni) di 5 mila tra cercapersone e poi di walkie talkie tra le mani, in tasca e all’orecchio dei militanti di Hezbollah, mentre continuano le uccisioni mirate che hanno eliminato i quadri del movimento sciita a cominciare dal numero 2 e capo militare Fuad Shukr, è stato l’ultimo atto preparatorio, o il penultimo. Ieri, sventagliata di raid aerei, centinaia di morti, preceduta dall’avvertimento alla popolazione civile perché abbandonasse le abitazioni più esposte, in particolare i nascondigli delle munizioni. Le milizie sciite non sono più quelle del 2006, possono contare su 40 mila combattenti e 150 mila fra razzi e missili. «Hezbollah non è Hamas», ammoniscono gli analisti militari.

Soprattutto, dietro le milizie di Nasrallah c’è, più che dietro Hamas, l’Iran degli Ayatollah con le guardie della rivoluzione, i pasdaran. Eppure, la mancata reazione dirompente dell’Iran all’uccisione di un ex capo dei pasdaran a Damasco e del leader di Hamas, Haniyeh, a Teheran, ha convinto la leadership israeliana che è arrivato il momento di affondare il colpo nel Libano. E magari provocare la reazione dell’Iran per infliggere colpo di grazia anche agli Ayatollah per impedire, prima che sia troppo tardi, che si dotino dell’arma nucleare. Fra l’altro, la prudenza iraniana, dopo l’elezione del neo-presidente Pezeshkian, un “moderato” che vuole riaprire il dialogo con l’Occidente, negoziare un nuovo trattato sul nucleare e ottenere in cambio la fine delle sanzioni economiche, sta costando una sempre più evidente frattura fra la leadership iraniana e le milizie proxy: Hezbollah e Hamas, che sempre più spingono per la guerra a Israele con il coinvolgimento di Teheran, e gli Houthi yemeniti che non mancano occasione di mirare sulle portacontainer e petroliere occidentali nel Mar Rosso.

I MOVIMENTI
Gli Hezbollah, decimati dagli attacchi chirurgici spesso ad personam degli israeliani che ne conoscono perfettamente i movimenti e le localizzazioni, demoralizzati per le esplosioni degli apparecchi elettronici perfino i più elementari, e con difficoltà ora di comunicazione interna, si trovano forse nel momento di maggiore debolezza dal 7 ottobre. Esposti, quindi, alla campagna di terra dell’esercito di Tel Aviv che sta spostando truppe da Hamas al Nord verso il Libano. Tre le opzioni militari, secondo i generali interpellati dal britannico “Telegraph”. La prima è la più semplice e indolore per gli israeliani, letteralmente la meno “invasiva”, ovvero raid aerei devastanti, senza stivali nel fango. La seconda, un’incursione oltre frontiera per creare una zona cuscinetto, un po’ come si sta tentando di fare a Gaza. La terza, l’invasione di terra vera e propria, con una profondità di 6-12 miglia se non addirittura le 18 del fiume Litani indicate anche in una risoluzione dell’Onu che darebbe legittimità all’intervento israeliano. Nel frattempo, è di ieri l’annuncio americano di ulteriore rafforzamento del contingente militare nell’area, già formidabile con portaerei, navi anfibie, sommergibili lanciamissili e squadre di caccia. L’annuncio serale di stato d’emergenza con restrizioni ai civili israeliani, l’ennesimo segnale di una situazione che precipita.

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