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Meloni incontra i sindacati, in regalo il saggio di Camus sulla rivolta: ma la scelta di Landini è un autogol

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Il regalo del leader della Cgil è stato apprezzato dalla premier. «Lo leggerò», ha detto Meloni a Landini. E si prepari Giorgia, perché «L’uomo in rivolta» di Camus non è una lettura semplice. Ma molto affascinante. Trattasi di uno dei testi più suggestivi dello scrittore francese. Ma Landini è sicuro che ispirarsi a questo libro, farne un libretto militante e donarlo a Meloni (insieme ad una calcolatrice), sia una bella idea?

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L'incontro di Meloni con i sindacati

In queste pagine, Camus esalta filosoficamente la rivolta ma nei rapporti sindacali e politici serve l’opposto. Non la rivolta - a meno che non si voglia scimmiottare il sindacalismo rivoluzionario del primo ‘900 - ma il compromesso. Non giova il «mi rivolto, dunque siamo», che vorrebbe essere lo slogan dello sciopero generale di venerdì 29 novembre. Occorrerebbe, al posto di questo motto esistenzialista di Camus, la rinuncia alla rivolta, la pratica volontà di confronto e non di scontro, l’aspirazione a fare del sindacato il portatore di interessi larghi e non il difensore ribelle di un solo pezzo di società. E oltretutto, se l’uomo in rivolta dovesse essere l’operaio, ed è a quello che Landini e la Cgil pensano principalmente, forse andrebbe ricordato che - come è noto - Fratelli d’Italia è il primo partito in questa fascia di lavoratori.

E comunque. Se prima per Camus l’uomo era adagiato in un compromesso, ora - cioè quando scrive il suo libro, anno 1951 - si deve gettare senza esitazione nel Tutto o Niente. Stupenda visione filosofico-letteraria. Se la trasporti nella politica d’oggi, si traduce in un radicalismo controproducente per un Paese che deve sforzarsi, tra mille difficoltà e troppe scorie vetero-ideologiche, di superare la contrapposizione netta e d’incontrarsi nella via di mezzo.

IL ROMANTICISMO
Landini ha sbagliato libro, anche se questo libro è un capolavoro, perché ha sbagliato la postura: quella del no e poi no a una Manovra che, con tutti i suoi limiti - i soldi da investire sono pochi - l’avrebbe fatta quasi uguale il centrosinistra se fosse stato al governo. Il romanticismo della rivolta stride con il realismo necessario per costruire la crescita italiana. Camus - da non confondersi con Camusso, ex segretaria Cgil - dice nelle sue pagine che, laddove la dignità viene minacciata e calpestata, occorre rivoltarsi. Ma siamo di fronte a una legge finanziaria che calpesta la dignità di qualcuno? Suvvia.

Ed è incongruo il riferimento di Landini a Camus perché Camus - come spiega il filosofo Pierandrea Amato in un saggio piuttosto acuto, «La rivolta» (Cronopio editore) - confina la rivolta, nonostante il «mi rivolto, dunque siamo», in un ambito interiore e soggettivo. E non, vale la pena qui di aggiungere, in una dimensione di massa, che è o dovrebbe essere quella delle grandi organizzazioni sindacali. Siccome per Camus l’intento etico è fondamentale, bisogna dare seguito fino in fondo alle proprie convinzioni di rivolta anche a rischio di restare soli e di essere minoranza. Una posizione che un buon sindacato, popolare e non bertinottiano, non dovrebbe mai assumere. Eppure Landini insiste, rivolgendosi a Meloni in nome di Camus (il cui libro oltretutto non piacque alla sinistra e anzi fu scritto per criticare a suo tempo in nome del valore della rivolta esistenziale il mito della rivoluzione comunista) e dicendole così: «Di fronte a un livello di ingiustizie e di diseguaglianze come quello che si sta determinando, io credo che ci sia bisogno che le persone non accettino più e che non si girino da un'altra parte». Ma girando le pagine dell’«Uomo in rivolta», si ha l’impressione che Landini lo abbia letto di fretta e che lo usi come mezzo per sviare dal nocciolo della questione: che non è la bellezza intellettuale della rivolta ma l’obbligo professionale della contrattazione e del confronto sul merito della legge di bilancio.

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