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Meloni ora teme lo scontro con i giudici: tempi lunghi per le carriere separate

6 mesi fa 26
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ROMA, Trovare un equilibrio è complicatissimo: accontentare Forza Italia e il ministro Carlo Nordio, ma senza aprire una guerra frontale con la magistratura. Giorgia Meloni lo ha ripetuto a tutti in questo anno e mezzo a Palazzo Chigi: non si deve riproporre la stagione berlusconiana dei conflitti con i giudici. Al tempo stesso, però, la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti è un punto del programma del centrodestra e soprattutto una richiesta ferma di Forza Italia, nella logica spartitoria delle riforme (Autonomia per la Lega e premierato per Fratelli d’Italia). Come uscirne? La via trovata per il momento è l’estrema prudenza nell’affrontare la materia, cercando di scrivere una riforma complessiva che non fossilizzi il dibattito sull’aspetto più divisivo. La prova è che il disegno di legge sulla giustizia che contiene oltre alla separazione delle carriere, anche la riforma del Csm e l’istituzione di un’Alta Corte per la valutazione dei magistrati viene continuamente rinviato e, a meno di sorprese clamorose, non sarà portato nemmeno al Consiglio dei ministri in programma oggi.

Da Palazzo Chigi l’ennesimo rinvio si spiega con ragioni di opportunità, visto che questa settimana si svolgono due appuntamenti importanti: il g7 della Giustizia di Venezia, presieduto da Nordio e il congresso dell’Associazione nazionale magistrati a Palermo, con la partecipazione dei leader dell’opposizione, Elly Schlein e Giuseppe Conte, mentre per il governo ci sarà il viceministro Francesco Paolo Sisto e per Azione il capofila dell’ala garantista Enrico Costa. Da quella tribuna, è già chiarissimo al governo, partiranno delle accuse pesanti contro i piani della destra. Ma l’intenzione di Meloni, attraverso il fedelissimo sottosegretario Andrea Delmastro, è di non forzare la mano e di mandare messaggi alla magistratura: procederemo con molta calma.

Fratelli d’Italia frena l’ipotesi che il ddl contenga anche la modifica dell’articolo 112 della Costituzione che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, introducendone invece la discrezionalità. Una questione molto complessa da un punto di vista giuridico, che merita, secondo Palazzo Chigi, un approfondimento più ampio. «L’autonomia della magistratura è sotto attacco», protesta Conte. Ma la vera garanzia per gli avversari di queste leggi sono i tempi, che si preannunciano lunghissimi. Anzi, secondo i centristi, che appoggerebbero le riforme di Nordio, è proprio lo strumento del disegno di legge governativo ad affossare ogni possibilità di realizzare questa proposta. In Forza Italia c’è la consapevolezza che dopo aver sbandierato in campagna elettorale questo vessillo, la cosa potrebbe finire lì, almeno per questa legislatura, anche perché si rischierebbe di sovrapporre questo referendum costituzionale con quello dell’elezione diretta del premier, cosa che Meloni vuole assolutamente evitare. Costa si è fatto due calcoli: «Per l’approvazione serviranno, infatti, almeno due passaggi tra Camera e Senato, poi ci sono i tempi per richiedere il referendum, indirlo e infine votare. Poi le leggi ordinarie di attuazione».

Lo strumento sarebbe quello di una legge delega, come è stato per la riforma Cartabia. «Se il Governo avesse lasciato lavorare il Parlamento – conclude il deputato di Azione – avremmo già approvato il testo in aula alla Camera, invece nella migliore delle ipotesi in aula ci andrà quest’inverno». Davide Faraone di Italia Viva aggiunge: «I “manettari” non siano allarmisti, il progetto di Nordio allunga i tempi».

Molto più spedita marcia invece la riforma del premierato, che questa settimana arriva in Aula. La discussione generale in Senato è prevista per mercoledì, a Palazzo Chigi non sono ancora certi se ci siano i tempi per l’approvazione in prima lettura entro le elezioni europee. Molto, secondo fonti di governo, dipenderà dall’atteggiamento delle opposizioni. Meloni ha chiesto di arrivare al primo via libera della «madre di tutte le riforme» prima delle Europee. Ma al tempo stesso la premier non vuole forzature particolari: se dai banchi del centrosinistra si scegliesse la strada dell’ostruzionismo a quel punto l’idea di un rinvio a dopo le elezioni non sarebbe vissuta come una sconfitta o un passo indietro. «Abbiamo la volontà di moltiplicare gli interventi per denunciare le distorsioni del premierato», annuncia Alessandro Alfieri, responsabile riforme del Pd. Per il momento da FdI si tende a escludere il ricorso a tagliole e strumenti per ridurre i tempi del dibattito. In piena campagna elettorale, è il ragionamento del partito della premier, non è il caso di alzare polveroni

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