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«No, no, non riesco ancora a crederci. Sono vivo, ma quei momenti sono confusi e concitati. Io non lo avevo visto lo squalo, pensavo che Gianluca Di Gioia stesse avendo un malore, mi sono tuffatto senza pensarci». Peppino Fappani, 69 anni, chiama la figlia Cristina d
primo mattino: voce bassa, emozioni contrastanti, tra la gioia di essere un miracolato e lo choc per aver assistito impotente alla morte di Gianluca Di Gioia nella baia da sogno di Marsa Alam.
L’orrore nella mente, le immagini dell’acqua colorata di sangue: «Sembra un film, di quelli che fanno venire i brividi». Ma è tutto vero: la vacanza finita con il peggiore degli incubi. Prima di tutto le buone notizie: «Sono fuori pericolo. Mi dicono i medici che nel giro di 24 ore potrò uscire dall’ospedale». Poi la mente torna indietro a quei momenti: pochi secondi che sono sembrati infiniti.
Gli ultimi ricordi
«Mentre ero in spiaggia ho sentito un uomo gridare. Chiedeva aiuto a squarciagola, parlava in italiano. A quel punto sono scattato come una molla. Non ci ho pensato due volte. Sono corso, mi sono tuffato in acqua, convinto che stesse avendo un malore. Mica l’avevo visto che c’era uno squalo. Anzi, pensavo di riuscire ad aiutarlo a tornare a riva». Per Peppino, in pensione da poco, dopo anni e anni di lavoro come odontotecnico, era una giornata di vacanza. L’ennesima nell’amato Egitto, insieme alla moglie Laura.
Le vacanze in Egitto
«Siamo arrivati in Egitto il 25 dicembre, per goderci un po’ di mare e relax. Mi piace fare snorkeling, lo faccio da anni, soprattutto qui nel Mar Rosso». Ma quello che lo aspettava in acqua quel giorno era qualcosa di molto più pericoloso. «Sembra strano da credere ma quell’animale pauroso io non l’ho visto. No, nemmeno l’ombra. Ho fatto qualche bracciata verso quell’uomo che urlava, ma all’improvviso ho sentito un colpo violento alla caviglia destra. Poi a sinistra. Ho capito di essere stato attaccato. E ho dedotto che anche Gianluca, del quale non conoscevo il nome, stava lottando contro lo squalo tigre. Ho ricordi confusi, ma so che ho cercato di liberarmi con tutte le forze. Mi mordeva alle gambe, poi alle braccia. Ero senza difese, a mani nude».
I soccorsi
Di italiani a Marsa Alam in questo periodo ce n’erano tanti. In uno dei resort più noti e di lusso, il Sataya, in quella lingua di spiaggia estesa chilometri e chilometri. Peppino e Gianluca, all’inizio scambiati per amici, invece non si conoscevano neanche. Un incontro casuale, nel momento della disperazione totale. «Non lo conoscevo. Non ci eravamo mai visti prima». Al telefono qualche secondo di silenzio e poi il rammarico che sarà difficile cancellare: «Pensavo di riuscire a salvarlo, ma non ho fatto in tempo. Lo squalo lo aveva già aggredito. Io stesso non sarei sopravvissuto se non fossero arrivati dei soccorsi. Un gommone ha raggiunto l’area, chi stava a bordo è riuscito a liberarmi dalla presa dello squalo e tirarmi fuori dall’acqua. Senza di loro, non ce l’avrei mai fatta».
Il dolore
Purtroppo, la sorte non è stata altrettanto favorevole per Gianluca Di Gioia, 48 anni, appassionato di subacquea e snorkeling. L’uomo originario di Roma, viveva da tempo in Francia con la moglie e il figlio, lavorando come diplomatico per l’Eas, il servizio diplomatico dell’Unione Europea. «Non abbiamo contatti con la sua famiglia, ma ci stringiamo al loro dolore» afferma Cristina, la figlia di Peppino, con voce commossa. Ora il papà è fuori pericolo, ma lei rimasta a Soncino, ha vissuto momenti di angoscia: «Lo dimettono domani, poi prenderà il primo volo per tornare in Italia».
Ancora scossa ricorda la mattina del sabato quando ha ricevuto la chiamata. «È stata mia madre ad avvertirmi. La notizia che fosse sopravvissuto mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Non era scontato dopo quello che è accaduto a Di Gioia». Peppino, intanto, non sa se tornerà mai a fare snorkeling. Alla figlia per telefono rivela: «Adoro il mare, ma credo che ci vorrà tempo prima di tornare là sotto. Adesso voglio solo riposare e tornare a casa».