Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Per Kiev si avvicina il tempo del negoziato

6 mesi fa 5
ARTICLE AD BOX

Dopo due anni, la guerra russo-ucraina sta cambiando. Le aspettative sono girate a favore della Russia. Gli ucraini contano sull’arrivo degli aiuti americani per raddrizzare la situazione ma riconoscono che bisognerà trattare. La combinazione occidentale sanzioni a Mosca-aiuti militari a Kiev può non bastare a fermare Vladimir Putin in Ucraina. E l’Ucraina non gli basta. La Russia ha intrapreso un’offensiva ibrida e geopolitica contro l’Europa ben più ampia della guerra di conquista in Ucraina. Emmanuel Macron lo dice. Altri lo pensano ma tacciono. La maggioranza dei leader preferisce trincerarsi dietro il «non siamo in guerra con la Russia». La pensa così anche il Cremlino?

Le speculazioni su «preparativi per una guerra contro la Nato» abbondano ma atteniamoci a quanto sappiamo con certezza. Mosca aggredisce l’Europa all’interno e la confronta dall’esterno. All’interno, opera con campagne di disinformazione, via social media amici come TikTok, con interferenze nelle elezioni europee (cercherà di farlo in quelle americane di novembre), con finanziamenti a partiti simpatizzanti dell’estrema destra europea. Attua una strategia di cyberattacchi che hanno ultimatamente preso di mira soprattutto la Germania. Buoni eredi del Kgb dove si è fatto le ossa Putin, Fsb e Gru non disdegnano metodi sbrigativi e segnali pesanti, vedi l’uccisione del disertore Maksim Kuzminov in Spagna. Mantiene una capillare rete di spie e informatori – approfittando anche della nostra tolleranza. All’esterno, la penetrazione militare russa è assestata su due linee: mediorientale, con caposaldo in Siria ed estesa dal Mediterraneo al Golfo grazie all’alleanza di convenienza con l’Iran; subsahariana, con una fascia comprendente regimi militari sostenuti dai mercenari russi in Mali, Niger, Burkina Faso, spintasi adesso fino al Sudan in guerra civile, e nordafricana in Libia in appoggio a Kahlifa Haftar a Bengasi.

Il «non siamo in guerra» con la Russia è tecnicamente vero riguardo all’Ucraina ma è un’illusione rispetto alle attività ibride contro le nostre democrazie e alle mire di Mosca nel Mediterraneo e in Africa. Queste ultime sono diametralmente opposte agli interessi europei - e nazionali, vedi Libia, piano Mattei, immigrazione clandestina e traffici vari che passano attraverso la fascia subsahariana sulla quale Mosca sta consolidando il controllo. Ma proprio perché la Russia pone all’Europa una sfida che non si esaurisce in Ucraina, diventa vieppiù necessario negargli una vittoria militare che pieghi la resistenza di Kiev. Ridotto all’essenziale, questo è il succo del lungo discorso alla Sorbona del presidente francese, ripetuto nell’intervista all’Economist. Lo sta dicendo anche a Xi Jinping nel riceverlo con tutti gli onori a Parigi, sperando forse invano che il presidente cinese metta dei limiti all’amicizia senza limiti con Vladimir Putin per fermarne la guerra prima che faccia danni irreparabili alla stabilità internazionale. Nell’interesse anche di Pechino e dei rapporti Cina-Europa che il presidente cinese è venuto a perorare.

Emmanuel Marcon parla molto – «troppo lungo e troppo francese» secondo Gérard Araud, ex-ambasciatore di Parigi al Palazzo di Vetro e a Washington – ma quando dice che se la Russia vince in Ucraina la sicurezza europea va in frantumi mette il dito nella piaga. Mentre altri preferiscono cacciare la testa nella sabbia.

Il non escludere di mandare truppe in Ucraina è un corollario di questa constatazione. È una extrema ratio. Dice a Putin che la sua guerra non può piegare l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Gli fanno eco le linee rosse della Nato su un’escalation rappresentata da interventi militari dalla Bielorussia e/o dalla Transnistria; anche per l’Alleanza, e presumibilmente per Washington, l’intervento militare è una extrema ratio, ma non esclusa. Macron ritiene che l’Europa non possa permettere il collasso dell’Ucraina come Stato genuinamente indipendente – da Mosca. No, dunque, a tutti i costi, invio di truppe compreso, alla presa russa di Kiev e di Odessa, no al regime change voluto da Putin.

Il messaggio a Kiev è complesso. C’è una forte rassicurazione, ma anche un indiretto avallo a quanto riconoscono i militari ucraini: «Non oggi ma domani» sta venendo il momento del negoziato con i russi. Nelle presenti circostanze, per bene che vada, significa arrivare a trattative e cessate il fuoco senza aver ripreso i territori occupati dai russi. Gli armistizi congelano il fronte. Dove? Saranno critici i prossimi due mesi. Se l’Ucraina tiene, poi forte degli aiuti americani sarà in posizione più paritaria per negoziare.

Leggi tutto l articolo