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Ministro Foti, è tempo di primissimi bilanci e di prospettive. Lei ha appena inoltrato alla Commissione Ue la richiesta per il pagamento dei 18,25 miliardi di euro della settima rata del Pnrr, in linea con i tempi. Secondo gli ultimi dati disponibili però si sta spendendo meno delle risorse programmate. Siamo in ritardo? Bisogna spendere più in fretta come dice anche Giorgia Meloni?
«La cosa più importante è che gli obiettivi sono stati raggiunti, questa è la pre-condizione per la settima rata. Ora ci saranno le verifiche ma quando arriveranno - perché sono certo lo faranno - avremo incassato 140 miliardi di euro, circa il 72% dell'importo totale. Se non è un successo questo...».
Si diceva dei ritardi nella spesa...
«Verificheremo ma ora bisogna vedere che impatto avrà sull'andamento delle spese la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto di Giorgetti con cui gli enti locali potranno chiedere ai ministeri anticipazioni fino al 90% del costo degli interventi. Molti Comuni andavano in difficoltà nel dover fare anticipo di cassa e quindi c'è stato qualche intoppo ma questo consentirà di velocizzare. Sappiamo che è una corsa contro il tempo ma non è una novità, era programmato».
Ora parte la fase 2, quella della messa a terra. Ci sarà un’accelerazione?
«Si farà quello che serve nei tempi prestabiliti... abbiamo chiesto oggi la settima rata, persino nostro Signore ci ha messo un po' di giorni per fare il mondo».
Il 2025 sarà anche l’anno della nuova revisione del Pnrr?
«Senza dubbio ma sarà una revisione che avrà aspetti tecnici e altri relativi alle singole misure. Fino ad oggi, ad esempio, la misura Industria 5.0 ha avuto un andamento molto lento, come ricezione da parte di chi poteva utilizzarla. Ora in Legge di Bilancio, dopo un lavoro fatto con la Commissione Ue dal ministro Urso, sono state inserite norme più agili che consentono al governo di essere ottimista».
Per impostare il “metodo” che potesse consentire di cancellare gli obiettivi impossibili da raggiungere al 2026 o di rimodularli sono serviti 10 mesi. Tempi che oggi non ci sarebbero… non è che serve una proroga come chiede Giorgetti da tempo?
«Se in Italia si inizia a parlare di proroga prima della scadenza dei termini si rischia di bloccare tutto in partenza. In ogni caso la proroga non è un automatismo quindi devi fare come se non ci fosse. L'obiettivo resta quello iniziale, se poi anche altri Paesi si muoveranno e se ve ne sarà bisogno vedremo il da farsi».
Lei ha ereditato dal vicepresidente della Commissione Ue Fitto anche la delega agli Affari Ue in un momento che pare di difficoltà massima per l’Europa. Che anno si aspetta? Tra crisi internazionali e Trump, passando per competitività e difesa comune...
«Bisogna tenere presente che almeno la prima parte sarà condizionata dall'aspetto politicamente più rilevante, oltre all'insediamento di Trump, ci saranno le elezioni in Germania. E poi bisogna vedere se il governo francese che si è appena insediato avrà l'agibilità che ha sempre avuto. Credo che oggi l'Ue si trovi di fronte ad un quadro geopolitico diverso da quello di 5 anni fa. È evidente che deve sapere affrontare questo momento tenendo presente che vi è una competizione tra Continenti che si fa sempre più premiante. Alcune scelte che si potevano ipotizzare a cuor leggero all’epoca vanno coniugate meglio».
Parla del Green deal che sarà rivisto?
«Anche. Quello è un intervento necessario per due ragioni: per raggiungere alcuni obiettivi previsti in materia ambientale ed evitare che l'industria manifatturiera europea perda di centralità».
Tra le priorità che Giorgia Meloni ha messo in agenda c’è quella di far funzionare il modello Albania. E farlo passa anche dall'atteso parere della Corte di Giustizia Ue sui primi rimpatri. Ieri intanto la Cassazione ha rimandato tutto. È sicuro che i centri albanesi non resteranno grandi scatole vuote?
«Non resteranno scatole vuote anche perché mi pare evidente che se fosse così non sarebbero stati seguiti e oggetto di interesse da parte di altri Paesi Ue. Il modello è perfettibile ma da seguire, e questo taglia corto rispetto ai catastrofisti di casa nostra. Per quanto riguarda la ripresa delle partenze, è ovvio che non è che ci si fermi davanti ad una o due decisioni del giudice. Detto ciò la Cassazione ha cancellato ogni dubbio su a chi spettasse la definizione della lista dei Paesi sicuri».
A proposito di giudici, sulla Consulta siamo ancora all’impasse? Mancano quattro membri, compreso il presidente, e maggioranza e opposizione non paiono trovare un’intesa.
«La questione è nota a tutti ma faccio presente che per 3 giudici si è già fatto un miracolo nel fare le tre votazioni infruttifere e consentire di arrivare ad un quorum che fosse più basso a gennaio. Questo dimostra come la volontà di tutti sia arrivare a comporre il plenum. Poi alle soluzioni si arriva con i tempi consoni».
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