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Scappa dalla casa famiglia di Poggio Moiano e da solo si fa cento chilometri per andare dalla nonna, poi chiama la polizia a cui espone il suo caso e il motivo per il quale è stato costretto a lasciare la struttura, facendo valere i suoi diritti. Non ha ancora compiuto 17 anni e Cesare, il nome è di fantasia, è riuscito in una impresa quasi impossibile, simile a quella di Davide contro Golia, perché da solo, affidandosi ai social e alla ferma decisione di far ritorno dalla nonna materna ha avuto la meglio contro un intero sistema. Grazie ad un messaggio in bottiglia affidato a Facebook ha raccontato per filo e per segno la sua storia, attivando sul suo profilo la diretta dell'arrivo dei poliziotti per far capire al mondo che è un suo diritto decidere dove poter vivere, in questo caso nella abitazione della nonna materna, sfuggendo così al destino (spesso micidiale) degli automatismi che prevalgono al Tribunale dei Minori.
Tre anni fa gli assistenti sociali destinarono Cesare in una casa famiglia di Poggio Moiano, vicino a Rieti dove il ragazzo, ha raccontato ai poliziotti, viveva malissimo, con i riscaldamenti quasi inesistenti, prendendosi persino la scabbia diverse volte e cadendo in uno stato depressivo che lo aveva portato a rifiutare progressivamente il cibo.
Ciuffo di capelli scuri, occhi intelligentissimi, modi educati Cesare ha alle spalle una storia dolorosa e complessa: quando aveva otto anni lui e i suoi tre fratellini, sono stati dati in adozione.
Ognuno a una famiglia diversa. Al padre tossicodipendente e alla mamma fragilissima venne tolta la patria potestà e a tempo di record, un mese dopo, i loro figli vennero adottati. Da otto anni prosegue l'odissea di Cesare che non ha mai voluto perdere i contatti con i suoi fratelli anche se i servizi sociali non gli avrebbero mai permesso di frequentare e vedere. A complicare le cose è stata anche la famiglia adottiva che nel frattempo si era rivelata non adatta (la patria potestà dei genitori adottivi nel frattempo è decaduta): «mi picchiavano e stavo male» ha detto Cesare. «Anche i miei fratelli che sono tutti adottati a Roma vogliono vedermi, ma i servizi sociali non fanno mai niente. Ho scritto anche una lettera al Tribunale con effetti pari allo zero, non mi hanno mai preso in considerazione».
Il dramma dei figli tolti alle madri «Noi, cresciuti nelle case-famiglia»
Nella diretta su Facebook Cesare ad un certo punto mostra la lettera che ha inviato al Tribunale dei Minori. «Io sono scappato da mia nonna, lasciando la casa famiglia perchè non ce la facevo più. Da tre anni ero là dentro ed è stata una esperienza terribile. Io voglio tornare dalla mia famiglia, voglio rivedere mia mamma dalla quale mi hanno strappato. Lei ha il divieto di avvicinamento. Voglio vedere i miei fratellini. Non ce la faccio più».
Ai poliziotti, nella diretta seguita in tutta Italia da decine di migliaia di persone, Cesare con un linguaggio appropriato ed educatissimo, illustra per sommi capi la situazione terribile che lo riguarda e la via Crucis a cui è stato sottoposto da anni. Alle domande, anche tecniche, risponde puntuale, fornendo date, circostanze ed altri elementi processuali. La nonna materna assiste accanto, anche se non si vede, e ogni tanto interviene, come evidenzia l'audio, confermando la versione del nipote. I poliziotti si capisce che davanti a quel ragazzino sono spiazzati, ripetono che la decisione spetta solo al magistrato. «Vogliamo aiutarti». Per ora Cesare resterà dalla nonna ma la battaglia non è finita. «Voglio rivedere i miei fratellini».