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Roma, il vicesindaco Scozzese: «Fondi per la Capitale a rischio se salta il Patto tra Comuni, ammanco da 127 milioni»

7 mesi fa 49
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«Pacta sunt servanda. I patti vanno rispettati. Del resto era un meccanismo su cui eravamo tutti d’accordo». Chi parla è Silvia Scozzese, vice sindaco di Roma e assessore al Bilancio della Capitale, e già Commissario straordinario al debito. Una insomma, che i conti li maneggia con una certa dimistichezza. Il classico tecnico prestato alla politica. 

Vice sindaco Scozzese, di quali patti parla, e chi li deve rispettare?
«Dell’accordo sul federalismo fiscale per i Comuni. Il patto prevedeva che i Comuni più ricchi, quelli con una capacità fiscale maggiore, avrebbero aiutato gli altri, quelli che hanno meno risorse per erogare i servizi in base ai fabbisogni standard». 

Il presidente dell’Ifel, il sindaco di Novara Alessandro Canelli, dice che se nei prossimi anni si attuasse questo meccanismo di “perequazione” ci sarebbero 4 mila Comuni che rischierebbero di andare in crisi finanziaria?
«Ho ascoltato con attenzione quanto detto. Si dice anche che il 70 per cento di questi Comuni sarebbe al Nord. Ma il federalismo nasce anche da una istanza di quei territori, ora che arriva il momento di contribuire per ristabilire un’equità, non si può tornare indietro. A meno di non trovare altre soluzioni». 

Roma è un Comune che deve dare o che deve avere?
«Noi siamo tra quelli che devono avere». 

Quanto verrebbe a mancare al bilancio comunale senza la perequazione degli altri Comuni?
«Facciamo un passo indietro. Questo sistema di perequazione orizzontale, è iniziato nel 2015, fino ad oggi, e siamo nel 2024, ha funzionato a scartamento ridotto».

A scartamento ridotto?
«Roma doveva avere 268 milioni ne ha avuti in tutto 141. Poco più della metà. La città ha dovuto tirare avanti con meno risorse di quelle che il sistema federalistico le doveva garantire per coprire il costo di tutti i servizi da erogare. E adesso che siamo al punto in cui questo sistema di solidarietà tra i Comuni deve andare definitivamente a regime e coprire interamente le spese di chi da solo con le proprie capacità fiscali non ce la fa, ci si chiede se sia ancora sostenibile».

L’Ifel dice di no, e che con l’aumento dei costi dovuti all’inflazione e con i rinnovi dei contratti dei dipendenti, anche i Comuni ricchi sono in difficoltà?
«Figuriamoci i poveri. Al di là della battuta, mi rendo conto che c’è un problema. La stessa Roma dovrà sopportare un aumento dei costi, a partire dal rinnovo dei contratti dei dipendenti. E noi non partiamo da un saldo zero, ma da un deficit di 20-21 milioni l’anno, soldi che dovremmo avere dal sistema di solidarietà e che non riceviamo. Questo significa una maggiore difficoltà a mantenere i servizi ai cittadini». 

I soldi che mancano ce li può mettere lo Stato? 
«Guardi, la cosa importante è individuare subito, immediatamente, la soluzione per risolvere il problema. Quello che non si può immaginare è di bloccare il sistema perequativo, perché avrebbe contraccolpi rilevanti sui servizi ai cittadini. I soldi ce li può mettere lo Stato, ma la legge sul federalismo partiva da presupposti diversi, si basava su un principio solidaristico di redistribuzione». 

Che cambia se soldi li mette lo Stato?
«Che va verificato a chi le risorse devono poi effettivamente andare. Comuni come Roma, che dovevano avere i fondi, hanno atteso anni senza riceverli, dovendo finanziare i propri servizi con meno soldi degli altri. E il peso di Roma in questo sistema “solidaristico” è molto rilevante, vale il 19 per cento. Significa che la Capitale avrebbe dovuto ricevere, e non li ha ricevuti, quasi il 20 per cento del fondo di solidarietà dagli altri Comuni. Nei prossimi cinque anni devono ancora essere distribuiti 664 milioni, 127 dei quali devono andare a Roma. Se non arrivano potrebbe essere un problema. Mi chiedo dunque se ha ancora senso lasciare la Capitale del Paese in questo sistema».

Va tirata fuori?
«Sì, e va trovato un finanziamento specifico. Perché se il sistema di solidarietà comunale va in difficoltà, Roma ci va molto di più. L’autonomia va bene, l’abbiamo voluta tutti, ma deve essere accompagnata da una perequazione funzionante. Va preso atto che Roma per le sue dimensioni e per le sue specificità, non può essere legata a tutto questo. Nel trasporto pubblico locale, solo per fare un esempio, da moltissimi anni, la Capitale sopporta un sottofinanziamento. Se la solidarietà tra Comuni è insostenibile, va trovata un’altra soluzione. Ma subito. E la soluzione non deve salvaguardare solo chi rischia di andare in difficoltà, ma chi già da anni è in difficoltà. Chi deve avere, come Roma, sono quindici anni che attende». 

Nei giorni scorsi il governo ha varato una riforma della riscossione. Viene previsto che dopo cinque anni le cartelle esattoriali siano restituite alle amministrazioni. Vale anche per le multe. Che impatto avrà sui vostri conti?

«Va distinto il pregresso da futuro. Per quanto riguarda le vecchie cartelle sulle multe, abbiamo già degli accantonamenti per mettere in sicurezza i bilanci da cifre accertate e non riscosse. Per il futuro ci attrezzeremo per fare in modo che le somme vengano riscosse entro il termine stabilito dal provvedimento del governo, comunque continuando ad accantonare risorse per coprire eventuali somme non riscosse».

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